L’Olanda è la rivincita di Frank de Boer, l’allenatore “scarso” che sta vincendo con le sue idee
Frank de Boer in Italia è una specie di barzelletta, un allenatore-paradigma del come si può andare peggio di qualsiasi altro allenatore possibile. All’Inter nel 2016 arriva ad agosto inoltrato, dopo che Mancini ha lasciato la panchina a pochi giorni dall’inizio del campionato. Con una società che Erick Thohir sta cercando di piazzare al miglior offerente, una rosa costruita da un allenatore che non inizia il campionato e con i nuovi acquisti boom che avrebbero dovuto essere Éver Banega, Gabigol e João Mário, Frank de Boer viene letteralmente travolto dagli eventi e perde 7 delle prime 14 partite, vince stentando contro il Pescara al 91’ e il Torino all’88’, ma soprattutto dimostra di avere una squadra senza un capo né una cosa da nessun punto di vista. L’allenatore paga con l’esonero dopo la sconfitta a Marassi contro la Sampdoria per mano di Fabio Quagliarella.
Il percorso di Frank de Boer continua subito dopo l’esonero, ma il marchio di allenatore scarso lo inizia a seguire sia nella sua esperienza al Cristal Palace, dove resta 76 giorni e viene esonerato dopo quattro sconfitte in Premier League consecutive e all’Atlanta United, dove fa un prima stagione molto buona mentre nella seconda conquista solo 11 punti nelle prime 12 partite.
Il 24 luglio 2020 si separa consensualmente dal club americano e tutti pensano che avrebbe trascorso molto tempo in pantofole prima di venire richiamato in panchina. Invece il Barcellona è in crisi, Quique Setién salta dopo che Ernesto Valverde aveva terminato la sua esperienza e cercando di salvare la barca, si rifugia nella sua grande tradizione, quella olandese e dell’imprimatur dato loro da Rinus Michels e Johan Cruijff. Per farlo i dirigenti balugrana richiamano alla base Ronald Koeman, calciatore che gli ha dato una Coppa dei Campioni in finale contro la Sampdoria, che per forza di cose deve lasciare la Nazionale olandese in cui aveva inserito i giovani dell’Ajax delle meraviglie arrivato in semifinale di Champions League nel 2019. Questo libera la poltrona della Nazionale orange, che viene occupata subito dal gemello Frank, uomo da 112 partire e 13 gol con la maglietta arancione.
In Nations League non c’è l’accesso alla Final Four perché incoccia contro un’Italia che sta oliando i meccanismi manciniani, capace di vincere ad Amsterdam grazie a un gol di Barella, mentre iniziano molto male le qualificazioni per Qatar 2022, con una sconfitta netta contro la Turchia per 4-2.
Con queste premesse poco prospere, l’Olanda è arrivata a questi Europei in un clima di grande confusione. L’idea era che Frank de Boer fosse un quasi incompetente, tanto che i tifosi hanno fatto alzare in cielo un aereo intimando/consigliando all’allenatore di non derogare dal 4-3-3 classico di stampo olandese. Invece Frank de Boer ha scelto una sua strada e sta facendo ricredere in tanti, prima di tutto perché ha costruito una squadra davvero sua, plasmata sulle sue idee e che in questa fase ha anche esaltato le caratteristiche specifiche dei calciatori della rosa.
Ha scelto di giocare con la difesa a 3, con un centrale che gioca quasi da libero con funzioni del tutto nuove e due difensori che devono aggredire nella metà campo avversaria, secondo un’idea molto estrema del difendere attaccando. Dal canto loro i due laterali aiutano poco in fase difensiva, mentre sono dei veri e propri attaccanti esterni, tanto è vero che Dumfries ha già segnato due gol nella competizione. Il cuore del gioco è Frenkie de Jong. Nel primo tempo con l’Ucraina l’allenatore lo ha fatto giocare più avanti per avere un rifinitore eccelso ai 30 metri, mentre poi ha subito capito quanto fossero importanti i suoi piedi ad inizio azione.
Con il regista del Barcellona in palla, Marten de Roon può esaltarsi nel correre, pressare e chiudere le line di passaggio come fa nell’Atalanta, mentre Wijnaldum è libero di inserirsi e pensare a come farsi trovare smarcato mentre il gioco si sviluppa. A questo poi bisogna aggiungere anche un’altra idea lontana dalla tradizione orange: due punte invece che tre, posizionate molto vicine, con la prima che gioca con i centrocampisti e svaria su tutto il fronte, non dando punti di riferimento, Memphis Depay, mentre la seconda è soprattutto un corpo difficile da contenere, che tiene in apprensione almeno un centrale per i suoi spostamenti continui e il suo desiderio di battagliare su ogni pallone, Wout Weghorst. Con questa disposizione in campo, questi uomini e queste idee, l’Olanda ha vinto a punteggio pieno il proprio girone, segnato ben 8 gol in tre partite e si presenta come un outsider di lusso, non solo per i calciatori che ha disposizione ma anche per un cammino verso le semifinali abbastanza agevole (Repubblica Ceca agli ottavi e vincente di Galles-Danimarca ai quarti).
Poi una volta (se accade) arrivata in semifinale, l’Olanda può acquisire definitivamente quella consapevolezza e quella fiducia cieca nei confronti del sistema creato da Frank de Boer, che li può portare anche un passo se non due passi più in là, in barba a tutti coloro avevano già bollato come incompetente il calciatore fermato due volte da Toldo nella semifinale degli Europei 2020. Nei confronti di questa competizione sarebbe una bella rivincita per Frank de Boer.