Lo Scudetto di Simone Inzaghi “il camaleonte”: è suo il nuovo calcio all’italiana che sa vincere
Quando si sente parlare o si legge qualcosa che riguarda lo scudetto dell’Inter, tanti sono i protagonisti tirati in ballo e osannati, partendo da Marotta per finire con Lautaro, mattatore soprattutto della prima parte della stagione. Simone Inzaghi non ha mai una grancassa mediatica che lo sostiene e lo esalta, fin dai tempi magri della Lazio lotitiana, in cui chiedeva qualche rinforzo e il presidentone lo prendeva a male parole, appositamente ripreso come tutti ormai nel mondo dell’impossibilità della privacy.
Anche oggi Inzaghi sembra esserci e non esserci in questo scudetto interista, da una parte si dice che sia un ottimo gestore di situazioni, mettendo fra diverse parentesi le sue idee tattiche e dall’altra che abbia un buon rapporto con la sorte perché un campionato peggiore di questo in quanto a livello delle avversarie, non si vedeva dalla notte dei tempi.
Simone Inzaghi invece è un allenatore perfetto per i tempi che corrono, tempi che in Italia continuiamo a considerare come pieni di dogmi inattaccabili (la ripartenza da dietro ad esempio, mentre Guardiola recupera la partita al Bernabeu lanciando lungo su Haaland), mentre sono anche nel calcio ricchi di fluidità e improvvisazioni su cui surfare più che cercare di superare sbattendo contro le onde.
In questi anni di Inter si è molto spesso adeguato alle situazioni contingenti che doveva affrontare, prima di tutto scegliendo tanti giocatori molto fluidi in quanto a ruoli, posizioni e compiti (Darmian, un nome su tutti) e poi adattandosi agli avversari, cercando di scovare i loro punti deboli anche grazie a uno studio che sappiamo disperatissimo.
Fin dagli anni lotitiani quindi si è distinto per una grande capacità cameleontica, riuscendo sempre a trovare il vestito giusto a una squadra che veniva spesso disordinata da scelte dirigenziali e di mercato. Anche oggi nell’Inter che deve navigare a vista per i problemi economici di Zhang e le relative direttive di spesa contenuta date a Marotta, re dei parametri zero, Inzaghi è riuscito a trovare la sua perfetta dimensione, cambiando continuamente pelle ma allo stesso tempo tenendo ben ferme alcune sue caratteristiche.
La prima è che da attaccante ha sempre fatto brillare i suoi attaccanti, soprattutto i centravanti. Nella Lazio ha fatto diventare un monumento in carne e ossa biancocelesti Ciro Immobile, in nerazzurro un certo Lautaro Martinez è passato dall’essere un giocatore forte ma comunque di appoggio alla stella offensiva della squadra a stella assoluta, capace non solo di segnare tanti gol ma soprattutto di essere determinante per ogni azione offensiva dei nerazzurri.
Altra grande capacità è poi la gestione dei giovani. Nella Lazio un centrocampista ventunenne difficile da incardinare in un modulo, Milinković-Savić, è diventato uno dei migliori centrocampisti al mondo, così come il lancio di alcuni calciatori sono serviti ai biancocelesti (Lazzari, Luiz Felipe su tutti). Nell’Inter ha portato alla loro dimensione attuale calciatori come Dimarco e Bastoni e ha messo le basi per un futuro di spessore per gente come Bisseck o lo stesso Thuram. Inzaghi non getta in campo la linea verde alla bersagliera né considera troppo giovani calciatori ventottenni, ma utilizza i giovani responsabilizzandoli fin da subito, chiedendogli tanto, così da puntare poi sui migliori e ritrovarseli nel corso del tempo.
In senso ampio e cercando di definire sinteticamente le sue peculiarità riscontrabili in questi anni, si potrebbe dire che Simone Inzaghi sia la perfetta nouvelle vague del calcio all’italiana, che non è difesa, contropiede e portiere miracolosi, come ci siamo sempre detti, ma è lettura, studio, attenzione spasmodica, scelte razionali unite a momenti di creatività sublime, concretezza anche nella fantasia, capacità di adattamento continuo. Queste sembrano le caratteristiche del calcio inzaghiano, un calcio che potrebbe continuare a sorprenderci e a vincere.