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Opinioni

L’Italia che ancora non ha deciso se inginocchiarsi o no è una cosa che potevamo risparmiarci

La Nazionale italiana non ha ancora deciso se inginocchiarsi oppure no prima della partita degli ottavi di finale contro l’Austria. Se non lo faranno i calciatori dimostreranno di essere razzisti? No. Ma sicuramente avranno perso una buona opportunità per lanciare almeno un segnale di umanità. Perché è vero che non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Ma un uomo sì.
A cura di Maurizio De Santis
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L'Italia ha scelto di non inginocchiarsi prima della partita con l'Austria. Anzi, no. Forse sì. Se lo fanno loro allora lo facciamo anche noi. E ha bisogno di una riunione di gruppo per trovare un'intesa. Qual è l'argomento oggetto di questa riflessione approfondita? Per la Nazionale è divenuto un caso di coscienza genuflettersi per ricordare/spiegare alle persone collegate in mondovisione, dai più giovani a coloro che hanno i capelli bianchi, che c'è ancora molto da fare nella lotta contro il razzismo e, più in generale, contro ogni forma discriminazione o negazione della libertà di espressione.

Un gesto semplice, che dura pochi secondi, pochi attimi prima del fischio d'inizio diventa una questione di Stato. Che esagerazione. Immaginiamo la scena: gli Azzurri riuniti intorno alla tavola rotonda, nemmeno fosse necessario approntare un piano di battaglia perché ci sono i barbari che premono alle porte del regno. Ma dai… L'ultimo atto di questa situazione grottesca è rappresentato dalle parole di Leonardo Bonucci che, nella conferenza stampa alla vigilia della partita degli ottavi di finale, dice tra un fuorionda galeotto ("se avete domande sulla partita siamo disponibilissimi") e una dichiarazione che sembra tratta da una velina dell'Istituto Luce: "Decideremo tutti insieme se farlo o meno".

Una vicenda gestita male (anche) a partire da quel pomeriggio della gara contro il Galles quando – dinanzi agli avversari compatti nell'inginocchiarsi (e in Premier ha un valore, non è solo una consuetudine o un'esibizione artefatta) – solo cinque calciatori Azzurri fecero altrettanto. Il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, sottolineò come sul tema ci fosse libertà di coscienza. E dalla Nazionale arrivò un messaggio molto chiaro: non ci sarebbero state più divisioni, tutti avrebbero fatto la stessa cosa. In ginocchio oppure no.

È proprio così difficile riuscire a tenere una linea di coerenza? Evidentemente sì, se (forse) il timore di fare un brutta figura e di essere giudicati prende il sopravvento sulla condivisione e sull'importanza simbolica del gesto (che dovrebbe essere spontaneo). A ingarbugliare la matassa è anche una frase riportata dall'Ansa che cita una fonte dirigenziale della Nazionale: "Da parte della squadra non ci è arrivata alcuna richiesta o segnalazione di volontà di inginocchiarsi prima della sfida contro l’Austria. Ma se troveremo nel prosieguo una squadra che ha questa volontà, il gruppo degli azzurri si unirà per solidarietà e sensibilità, pur mantenendo la convinzione che la lotta al razzismo vada combattuta in un altro modo". Insomma, si inginocchiano oppure no?

Se i calciatori dell'Italia resteranno in piedi prima del fischio d'inizio contro l'Austria dimostreranno di essere razzisti? No. E nessuno può censurarne la sensibilità, bollandola con opinioni pregiudizievoli e molto negative. Così come l'entusiasmo di pancia (palesando finto buonismo) è solo espressione di mediocrità rispetto a una tema che merita ben altro approccio. Ma sicuramente avranno perso una buona opportunità per lanciare almeno un segnale di umanità come hanno fatto nel '68 Smith e Carlos sul podio olimpico, Colin Kaepernick nel 2016 e molti altri sportivi più di recente, sull'onda del Black Live Matter dopo l'omicidio di George Floyd, soffocato e ucciso da un poliziotto che gli teneva un ginocchio sul collo. Perché è vero che non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Ma un uomo sì.

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Da venticinque anni nel mondo dell’informazione. Ho iniziato alla vecchia maniera, partendo da zero, in redazioni che erano palestre di vita e di professione. Sono professionista dal 2002. L’esperienza mi ha portato dalla carta stampata fino all’editoria online, e in particolare a Fanpage.it che è sempre stato molto più di un giornale e per il quale lavoro da novembre 2012. È una porta verso una nuova dimensione del racconto giornalistico e della comunicazione: l’ho aperta e ci sono entrato riqualificandomi. Perché nella vita non si smette mai di imparare. Lo sport è la mia area di riferimento dal punto di vista professionale.
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