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L’Inter e il paradosso di Conte: non vince con i campioni, ma li crea

L’Inter di Conte ha segnato in tutte le prime 12 giornate di A. Ai nerazzurri era riuscito solo nel 1997-98, con Gigi Simoni in panchina e Ronaldo in attacco. Il tecnico ha valorizzato Sensi e Barella, ha responsabilizzato i giovani come Esposito. Ma sembra non volersi concedere il lusso del tempo necessario per vincere anche in Europa.
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Prima di questa stagione, solo nel 1997-98 l'Inter aveva segnato in tutte le prime dodici giornate di campionato. L'Inter di Conte riprende il filo della storia, avvicina i ricordi della squadra di Simoni e di Ronaldo, peraltro l'unico prima di Lukaku con nove reti realizzate nelle prime undici partite in nerazzurro. E si accredita come prima, e in questo momento unica, reale alternativa alla Juventus nella corsa allo scudetto.

L'Inter di Conte e Spalletti a confronto

L'Inter è la squadra che corre di più in questa Serie A e fa anche più possesso palla: oltre 29 minuti di media a partita, quasi uno in più del Napoli di Ancelotti. E' una squadra che, come e più dell'anno scorso, sfrutta i cross per cercare il gol: 90 quelli andati a buon fine in stagione contro gli 87 del Torino e gli 84 del Napoli. Succedeva anche un anno fa, con un riferimento offensivo diverso come Icardi. Ma Lukaku e Lautaro, in termini di produzione offensiva, garantiscono finora una quota di gol attesi a partita superiore rispetto a quanto registrato dall'argentino l'anno scorso. Si mettono dunque più facilmente in condizione di andare a segno.

E tutta l'efficienza collettiva ne guadagna. Rispetto alla scorsa stagione, infatti, l'Inter di Conte produce più expected goal a partita (rigori esclusi): 1.716 contro 1.588. In più, con un pressing tra i più efficienti della Serie A, protegge anche meglio la difesa. Rispetto a un anno fa, sono leggermente meno, infatti, gli expected goals against, ovvero le reti che l'Inter dovrebbe incassare a partita in base al modello che valuta la probabilità di segnatura per ogni tiro: 0,986 a partita contro 1,01. Solo la Juve fa meglio in Serie A.

Il profilo dei tiri dell'Inter di quest'anno e i nerazzurri con la maggiore produzione offensiva (fonte Understat)
Il profilo dei tiri dell'Inter di quest'anno e i nerazzurri con la maggiore produzione offensiva (fonte Understat)

Brozovic, Barella, Lukaku e Lautaro le stelle di Conte

Con l'illuminata regia di Brozovic, il calciatore che copre più campo di media in Serie A, l'Inter sviluppa un gioco effettivamente verticale, anche accettando il rischio di trovarsi più volte in fuorigioco nella ricerca dello spazio alle spalle della difesa avversaria.

Lukaku, secondo miglior cannoniere della Serie A con 9 gol dietro ai 14 di Immobile (che realizza il doppio delle reti rispetto alla stima degli expected goals), rivela la sua importanza per la squadra. In totale, è nono in Serie A per tiri tentati: 29 come Berardi, Belotti e Dzeko, ma è anche il primo tra gli attaccanti per palloni recuperati.

L'Inter convince in Italia, e conferma le qualità di Conte come elemento unificante che da un gruppo genera subito una squadra, e non è scontato. Gli è riuscito al primo colpo alla Juve, al Chelsea, in nazionale. All'Inter ha trasformato Sensi in un centrocampista universale, una mezzala di possesso e inserimento che per caratteristiche non era semplice da immaginare con un ruolo funzionale nel suo 3-5-2. Ha lavorato al meglio con Barella, ne ha incanalato gli eccessi di energia in una porzione di campo più ridotta e funzionale. Il premio a un investimento da 37 milioni, esclusi bonus, è lo splendido primo gol in nerazzurro contro il Verona.

Si ritrova in attacco due gioielli come Lautaro, 17 gol in 51 partite da quando è arrivato all'Inter nel 2018, ed Esposito, che ha messo in fila una serie di primati di precocità e ha dimostrato spalle abbastanza larghe per coprire con personalità l'assenza per infortunio di Alexis Sanchez.

Le statistiche di squadra dell'Inter 2019-20 (fonte: Lega Serie A)
Le statistiche di squadra dell'Inter 2019-20 (fonte: Lega Serie A)

Il perfezionismo di Conte

Eppure, lo sfogo di Dortmund evidenzia soprattutto che a Conte manca quello che non ha. E' l'effetto collaterale di un'ambizione spinta al perfezionismo, della sconfitta vissuta come una malattia da debellare, come un virus per cui vaccinarsi in fretta. "Se perdo, muoio" diceva ai tempi della Juventus. E niente pare sia davvero cambiato.

Anzi allora, alla prima esperienza sulla panchina di una grande squadra, si rivelava anche più pronto a concedersi il tempo dell'attesa, il privilegio della ricostruzione. Voleva che la Juve tornasse "antipatica", ma per vincere non ci sono scorciatoie: è sempre il campo che parla, diceva.

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"E' un tecnico con le idee chiare. Magari non complicatissime, ed è una fortuna, ma molto efficaci. Soprattutto è un martello. E di solito la combinazione tra l'avere le idee chiare ed essere un martello, risulta vincente" ha detto di lui Gianluca Vialli. E sintetizza le due anime di un allenatore che sa di chiedere tanto perché solo così si può scrivere la storia. E alla storia aspira, ma l'ha spesso costruita non con chi campione lo era già. Anche se i grandi campioni li richiede, li desidera, li invidia, perché con 10 euro non mangi nei ristoranti da 100.

Eppure, è con lui che Pogba diventa un centrocampista da 100 milioni, che Giaccherini si eleva a uomo simbolo di una visione di calcio e della sua nazionale. Vince un campionato al Chelsea con Kanté, Cuadrado, Zappacosta, Marcos Alonso, puntando tutto su Douglas Costa. Vince con una rosa inferiore ai rivali, con uno spirito di rivalsa che coinvolge anche il frequentemente indecifrabile David Luiz. E non a caso il brasiliano ne ha parlato come del miglior allenatore con cui abbia lavorato.

Anche all'Inter, il colpo del mercato è Lukaku, che è perfetto per il suo gioco ma non é Mbappé né Cristiano Ronaldo. Poi, certo, adesso vorrebbe qualcosa di meglio e qualcosa di più, si parla di Giroud. Ma al di là delle parole, sfuggite troppo a caldo, è con i Sensi e i Barella che Conte può davvero segnare la sua differenza. E continuare a cercare il suo posto nella storia del calcio.

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