L’esonero di Allegri spacca la Juventus: nello spogliatoio c’è chi non lo sopporta più
Prudenza anche se il sangue caldo e la sosta di campionato sono una tentazione per prendere estremi rimedi a una situazione divenuta preoccupante. È questa la linea che prevale, almeno per adesso, nella Juventus che riflette sul futuro di Massimiliano Allegri e della squadra. Silenzio e compattezza intorno al tecnico è il messaggio lasciato filtrare ma, dal club fino ai calciatori, le anime e gli umori sono differenti.
Il trend negativo di risultati ha trasformato gli scricchiolii episodici in crepe pericolose. Il timore che si arrivi a metà novembre fuori dalla Champions e con la classifica compromessa abbastanza da rendere il quarto posto quasi un miraggio è un tarlo che rode dentro. Una brutta sensazione che tormenta e si riverbera sulle facce della dirigenza.
Basta dare un'occhiata alle espressioni di Cherubini, Nedved e Arrivabene che assistevano al disastro materializzatosi prima con l'espulsione di Angel Di Maria (per una reazione grossolana e inaccettabile considerato il calibro e l'esperienza dell'argentino) e poi al gol di Gytkjær. Atterriti, increduli, sopraffatti dalla situazione, gelati da quello spettacolo che è un incubo a occhi aperti e soprattutto imbarazzati.
Nedved in particolare ha vissuto quei momenti con maggiore trasporto. Da ex calciatore e per indole non ce l'ha fatta a trattenersi. Prima ha messo le mani giunte davanti alla bocca in segno di disperazione dinanzi a quel disastro. Poi s'è piegato in avanti, nascondendo il viso dentro la sinistra e avvertendo tutto il peso della disfatta. È imploso. Tra i dirigenti è quello più propenso a un cambio di allenatore, a scegliere l'esonero come medicina amara da assumere pur di ripartire e salvare la stagione. La mimica in tribuna ha fatto il paio con lo sfogo nello spogliatoio avvenuto in occasione della gara col Benfica. Ma deve mordere il freno.
Prudenza e riflessione, almeno in apparenza, si leggono nelle parole del CEO, Maurizio Arrivabene. Le pronunciava prima della partita. Prima che la Brianza divenisse Caporetto e sembravano escludere ribaltoni all'insegna della "follia", della necessità di chi deve stringere la cinghia perché i conti – più ancora della classifica – tolgono il fiato. Anche le scelte fatte negli ultimi giorni hanno confermato la direzione: la rivisitazione dei ruoli all'interno dello staff tecnico, la decisione di ragionare sulle cause della poca brillantezza e dell'incapacità si resistere all'intensità dei match e degli avversari per ora ha avuto ricadute solo su uno dei collaboratori più stretti dell'allenatore (Simone Folletti, preparatore atletico) messo in controluce e sotto tutela del coordinatore dell'area, Giovanni Andreini.
Quei concetti hanno lo stesso valore anche dopo Monza? Il legame tra il presidente, Andrea Agnelli, e Allegri è ancora così saldo? E soprattutto la squadra da che parte sta? Ha ancora fiducia nel suo allenatore oppure vive un rapporto di sopportazione? Fino a quando sarà disposta a seguire un tecnico che voci di corridoio (e altrettante pubbliche) danno ancora in sella perché licenziarlo costerebbe troppo?
Questi ultimi interrogativi aprono un altro scenario e spostano i riflettori sulla percezione dell'aria che tira all'interno dello spogliatoio. Un conto è se in coperta ci sono calciatori dello spessore di Buffon, Chiellini, Barzagli che si parano davanti all'allenatore a mo' di pretoriani. Altro è se proprio l'assenza di personalità così spiccate e influenti nel gruppo non contribuisca ad alimentare confusione, senso di smarrimento e quel ‘ognuno per sé, Dio per tutti' che prende quando la nave affonda e c'è da salvare la pelle.
Il caso Angel Di Maria è la punta dell'iceberg, l'esempio più lampante del malessere che serpeggia. Landucci (in panchina a Monza al posto di Allegri squalificato) ha parlato di provocazioni subite e ingenuità manifesta per edulcorare la reazione rabbiosa dell'argentino contro Izzo. Ma la lettura di quell'episodio è stata un'altra. L'espulsione diretta – con tanto di squalifica per almeno 2 giornate in arrivo – è come calarsi sulla scialuppa da solo e fuggire senza voltarsi.
L'ex Psg ha lasciato la squadra in inferiorità numerica nel momento più difficile della partita e della stagione. Tra sosta e periodo di stop forzato tornerà a disposizione a metà ottobre per il derby con il Toro o anche dopo, qualora la sanzione fosse più severa. Mancherà un mese al Mondiale in Qatar e forse sarà troppo tardi per tutto.
Il nervosismo e la reazione scomposta del sudamericano arrivano dopo quel labiale con Milik ("perché ti ha cambiato?") al termine della partita contro la Salernitana e, prima ancora, il dissenso che aveva covato per la gestione del suo ruolo e del suo infortunio ed era esploso (anche se non in maniera così evidente) a Firenze per la sostituzione avvenuta dopo un tempo (e non a scopo precauzionale). Di Maria ha chiesto scusa. Ma allo stato dei fatti né lui e tutta la Juve ne hanno più.