Le pagelle del Napoli campione d’Italia: Osimhen e Kvara da urlo, ma il migliore è un altro
Trentatre anni dopo Maradona il Napoli è di nuovo Campione d'Italia. Lo scudetto numero 3 degli azzurri traccia una linea spartiacque nella storia del club partenopeo e, forse, apre un ciclo dopo la rivoluzione dell'estate scorsa con la cessione dei calciatori che avevano segnato l'epoca di Maurizio Sarri. Luciano Spalletti è riuscito laddove l'ex ‘comandante' ha fallito sia pure d'un soffio nel duello con la Juventus di Massimiliano Allegri.
L'allineamento perfetto dei pianeti ha fatto sì che, con un vantaggio molto largo sulla Lazio seconda, la squadra vincesse il titolo con sei giornate d'anticipo, mettendovi le mani sopra addirittura a gennaio quando, dopo i Mondiali e la sconfitta con l'Inter, in molti pensavano che il campionato sarebbe stato riaperto. Otto vittorie di fila, tra cui spiccano il 5-1 alla Juventus e il 2-1 alla Roma, hanno rilanciato le ambizioni di successo. Da Meret fino a Osimhen e Kvaratskhelia, ecco chi sono i protagonisti della cavalcata verso lo scudetto.
Alex Meret 8. Con il rigore parato a Giroud in Champions s'è tolto ancora una volta gli schiaffi da faccia, confermando di essere un portiere sul quale puntare e non scommettere. Lo aveva già fatto in campionato quando si oppose alla conclusione dal dischetto di Colombo del Lecce alla quarta giornata. Nell'estate scorsa sembrava dovesse lasciare il Napoli, c'era perfino il nome di Keylor Navas a fargli ombra, poi s'è messo al centro della scena e non l'ha più abbandonata. Gollini, Idasiak e Marfella i colleghi che hanno completato il reparto.
Giovanni Di Lorenzo 10+. Capitano, mio capitano. Difensore, esterno di centrocampo, spina nel fianco degli avversari, uomo squadra, perfetto anche come uomo assist. Ne ha confezionati 6 tra campionato e Champions, 4 reti segnate in totale (2 in Serie A) sono i numeri che impreziosiscono la stagione d'oro e instancabile dell'ex Empoli. Certezza assoluta, il punto fermo da cui è partita un cavalcata fantastica.
Min-jae Kim 9. Il difensore coreano prelevato dal Fenerbahçe aveva un compito difficile: cancellare il ricordo di Koulibaly passato al Chelsea. Quando arrivò i tifosi, quella parte ferocemente critica nei confronti del presidente, fecero ironia su di lui associando il suo nome a una marca di sigarette. Se l'è "fumate" tutte (le obiezioni) infilando prestazioni semplicemente gigantesche per intensità, agonismo e dinamismo. Lucchetto davanti alla porta.
Amir Rrahmani 8. L'uomo di lotta e di governo. Gattuso non lo vedeva, come si dice in gergo. Spalletti lo ha trasformato in una colonna del proprio assetto tattico. Due gol pesanti in campionato (alla Juve e all'Atalanta) hanno scandito una stagione da incorniciare. Se Kim è forza esplosiva, la sua è "forza tranquilla". Non passa l'avversario.
Juan Jesus 7 e Ostigard 6.5. Avrebbero voluto giocare di più, sono stati costretti ad accontentarsi di scampoli di match tra campionato e Champions. Ma quando Spalletti li ha chiamati in causa, hanno risposto "presente".
Mario Rui 7.5. Coltello tra i denti e sole alle spalle. Il terzino mancino portoghese ti sbuca all'improvviso e affonda il colpo. Su quella corsia è stato il calciatore che assieme a Kvara è riuscito a essere devastante. Una specie di regista che si muove per linee laterali, si accentra, va al tiro, serve assist. Tecnica, personalità e furore… a volte anche troppo. Stantuffo.
Matias Olivera 7.5. Garra charrúa. Basta questa espressione per identificare il ruolo nel copione del terzino uruguagio. Se Rui ha il genio (e la sregolatezza) dell'artista, Olivera è il difensore sul quale puoi contare sempre quando c'è da mordere la caviglie degli avversari oppure partecipare al gioco. Guai ad avercelo addosso.
Lobotka 9.5. Faro del centrocampo napoletano. Detta il ritmo, tesse la trama dei passaggi. Ovunque ti giri lui è lì a ricevere palla, a smistarla, tenerla tra i piedi, attendere che si apra il varco migliore, a fare la cosa giusta. Oggetto misterioso con Gattuso, con Spalletti è diventato imprescindibile. Metronomo.
Anguissa 9. Un'altra scommessa vinta. Il Napoli lo aveva prelevato in prestito dal Fulham perché là, nel mezzo, serviva fisicità. Il centrocampista del Camerun ci ha messo molto del suo diventando uno degli alfieri del gioco lancia in resta, del pressing asfissiante, delle ripartenze micidiali negli scambi stretti. I gol al Torino in campionato e al Liverpool in Champions sono il manifesto di quanto sia stato decisivo e devastante.
Zielinski 9. C'era nel 2018, nell'anno dello scudetto perso in albergo a Firenze. C'è adesso che il titolo tricolore lo ha visto materializzato dinanzi a sé nei minuti di recupero del match di Torino contro la Juventus. La sua esultanza (si lasciò cadere, disteso a braccia e gambe aperte) è l'emblema di una stagione vissuta con un carico (pesante) di responsabilità sulle spalle. Dicono: fosse più continuo, sarebbe letale più di quanto non lo sia già. Piotr ha la pazienza del ragno.
Elmas 8. Un jolly che cali sul rettangolo verde quando la mano sembra sfavorevole. Lui la trasforma e la ribalta. Spalletti lo ha schierato ovunque, perfino come ‘falso 9' quando s'è ritrovato con l'attacco decimato. Ci sono un'azione e un episodio che fotografano quanto il macedone, anche senza aver giocato con continuità dall'inizio, sia prezioso: a Torino è stato lui ad avere abbastanza sangue freddo da pennellare per Raspadori la palla sulla quale c'era scritto "buttala dentro".
Ndombele 6. A spizzichi e bocconi. Si accende a intermittenza. Il francese è come quel ragazzo che a scuola i professori lodano e bacchettano perché ha il talento per fare meglio ma non riesce a fare quel salto di qualità che tutti si attendono.
Kvaratskhelia 10. Ma chi è questo calciatore dal nome impronunciabile? Chi è questo carneade georgiano che arriva dalla periferia del mondo del calcio? La risposta migliore l'ha data il campo: Kvicha è la favola che non ti aspetti, l'apprendista stregone che diventa mago un giorno all'improvviso. È tutto: dribbling, finta ubriacante, intuizione e occupazione dello spazio, velocità di esecuzione, rapidità di manovra, pensiero e azione. Lo hanno paragonato (anche) George Best per le movenze, i calzettoni, la barba, la postura. Lui vuole solo essere Kvicha. Il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette.
Raspadori 8. Giacomo "Jack" lo squartatore è soprannome che non si addice alla faccia di bravo ragazzo che si ritrova. Ma in campo è un'altra cosa, sa come affondare la lama nelle difese avversarie. La Juve ha ancora la sua sagoma davanti agli occhi: la rete segnata all'Allianz Stadium è stata pesante, quel tiro al volo di sinistro ha messo il sigillo sullo scudetto del Napoli. Il salto dal Sassuolo all'ambiente caldo del Maradona non lo ha spaventato. Raspa-gol è una garanzia.
Osimhen 10. Una sola parola: devastante. Dopo due anni tra luci (poche) e ombre (molte), il diamante grezzo è esploso in tutto il suo splendore. È di grosso calibro, vale una fortuna. Il Napoli ha creduto in lui, lui lo ha ripagato mettendo addosso i panni del leader, del bomber, dell'uomo squadra, del compagno che si sacrifica e di quello che è accanto a te in trincea quando infuria la battaglia. Finalmente ha imparato che la potenza è nulla senza controllo.
Simeone 8. Stare all'ombra di Osimhen può essere snervante e stressante. L'argentino s'è fatto bastare il tempo che ha avuto per dare un saggio ulteriore delle proprie capacità in attacco. Decisivo col Milan e con la Roma, le lacrime per il primo gol in Champions col Liverpool furono bellissime. Un infortunio lo ha sottratto a Spalletti nella fase più calda della stagione ma su questo scudetto c'è impressa anche la sua firma.
Politano 7.5. Esterno d'attacco a piede invertito: gioca sulla destra, usa il sinistro come un bisturi tagliente. È chirurgico nelle sue evoluzioni palla al piede, nel cambio di passo e nel dialogo stretto coi compagni in attacco. Offre soluzione, risolve problemi. Non fategli troppe domande, lasciatelo fare.
Lozano 7. El Chucky, la bambola assassina. Spalletti gli ha tolto quell'etichetta di ala pazza e l'ha trasformato in un esterno d'attacco che ha occhi anche dietro la testa… Strappa e si fionda in avanti, è imprevedibile per le discese ardite e le risalite vertiginose. A Napoli ha rischiato addirittura di non giocare più per un brutto infortunio subito col Messico. In questa stagione s'è preso tutto quello che è suo.
Luciano Spalletti 10. "Uomini forti, destini forti. Uomini deboli, destino deboli. Non c'è altra strada". È la frase iconica del tecnico che, oltre a dare alla squadra un'identità e un gioco apprezzato in tutta Europa, meglio descrive il salto di qualità che il gruppo è riuscito a fare coi suoi insegnamenti. Lavora duro e con pazienza, raccoglierai i frutti. Se perdi pensa a come vincere la prossima volta. Niente alibi. Sono alcuni punti chiave della sua filosofia. Adesso non è più (solo) il tecnico che ha fatto fuori Totti. Dopo anni di gavetta e d'imprese sfiorate con Roma e Inter è giunto il momento della sua consacrazione. Meritata.