Il giudice sportivo Gerardo Mastrandrea ha assolto per insufficienza di prove Francesco Acerbi dall'accusa di razzismo verso Juan Jesus. Non ha dato del bugiardo al difensore del Napoli. Anzi, nel dispositivo ne ha sottolineato la buona fede (diversamente, sarebbe stato addirittura passibile di una denuncia per calunnia) ma ha aggiunto una sfumatura che fa tutta la differenza anche rispetto ad altri casi simili del passato che avevano portato a condanne pur in mancanza di riscontri inoppugnabili.
La pistola fumante non è stata trovata. Non ci sono testimoni né prove audio né prove video attendibili. La frase denunciata, quella presuntivamente offensiva e discriminatoria ("vai via nero, sei solo un negro"), l'ha sentita solo Juan Jesus. È la sua parola contro quella dell'interista ("ha capito male… ho detto ti faccio nero") e non basta. Non basta perché, si legge nella nota: "senza alcun ulteriore supporto probatorio e indiziario esterno, diretto e indiretto, anche di tipo testimoniale non si raggiunge nella fattispecie il livello minimo di ragionevole certezza circa il contenuto sicuramente discriminatorio dell’offesa recata".
La sentenza si può discutere, fa sicuramente giurisprudenza ma più del verdetto – che resta questione puramente legale e ha un suo fondamento giuridico – il caso Acerbi-Juan Jesus ha rimarcato ancora una volta qual è il livello di coscienza, di sensibilità civile del calcio italiano (e dei suoi protagonisti) rispetto a temi che hanno rilevanza morale, sociale, politica e istituzionale nella vita del Paese.
L'assoluzione non si può definire una vittoria con formula di piena innocenza per Acerbi, perché non spazza via del tutto l'ombra del clamoroso errore in bilico tra scuse e smentita, del sospetto che quell'espressione ingiuriosa l'abbia detta per davvero. Perché ha sentito subito l'esigenza di fare ammenda in campo? Boh… Ha evitato la stangata ma gli resterà appiccicato addosso il pregiudizio che sia riuscito a cavarsela solo perché non è stato possibile provare la sua colpevolezza. A meno che per partito preso, da tifosi sulle barricate, non si voglia sostenere a prescindere che Juan Jesus abbia raccontato solo balle e menzogne. Oppure non ci si voglia divertire a inventare improbabili, quanto divertenti, ricostruzioni delle parole che avrebbe male interpretato.
La stessa Inter fin dal primo momento non ha messo la mano sul fuoco per il suo tesserato ed è rimasta in posizione di sostanziale attesa fino alla sentenza che chiudesse la vicenda almeno a livello della giustizia sportiva. Silenzio e nient'altro (anche dopo il pronunciamento), con molto buon senso e altrettanto tatto strategici.
Stona (ed è davvero una brutta stecca) invece la posizione di Luciano Spalletti, il commissario tecnico della Nazionale che in silenzio non è stato: ha parlato di "bravi ragazzi", provato a mettere la sordina alle polemiche con quel "secondo me a livello di pubblicità siamo forse sopra quello che è avvenuto nella realtà", rasentato il ridicolo quando ha parlato di "telefono (di Juan Jesus, ndr) spento". Questa sentenza gli piacerà, è perfetta per il calcio italiano: la colpa non è mai di nessuno. E sul razzismo non c'è mai un colpevole.