L’aprile nero di Ibrahimovic: la caccia al leone, il ristorante e ora il rischio squalifica
L'aprile nero di Zlatan Ibrahimovic. Lo svedese è sempre sotto i riflettori e quando non li ha puntati su di sé trova sempre il modo per averli addosso. Dalla partecipazione al Festival di Sanremo a oggi ha fatto più notizia per vicende extra-calcistiche che per ‘cose di campo'. Il Milan gli rinnoverà il contratto: lo ha meritato per come ha cambiato la squadra dal suo arrivo, per la professionalità e l'ambizione mostrati nonostante l'età e qualche acciacco fisico, per il modo in cui può essere decisivo nel ruolo di guida e di fratello maggiore all'interno di un gruppo che ha bisogno di crescere.
Il leone e la società di scommesse: due spine in patria
Un esempio, nel bene e nel male. Nell'ultimo periodo, però, la sua figura ha creato qualche imbarazzo di troppo. E intorno a lui tira una strana aria, in Svezia come in Italia, quasi a scontare il prezzo della sovra-esposizione mediatica. In patria hanno fatto discutere due vicende. La prima è la storia della caccia al leone che risale a dieci anni fa ed è tornata di stretta attualità oggi: lo avrebbe ucciso portandone la testa a casa come trofeo. La seconda è la partecipazione azionaria (10%) in una società di scommesse con sede legale a Malta attraverso una sua azienda (Unknown AB): questione molto delicata, per la presunta violazione del codice etico Fifa scattata con il suo ritorno in nazionale in occasione delle qualificazioni ai Mondiali di Qatar 2022, e per la quale rischia una multa milionaria o una pesante squalifica. Una sanzione che può variare nella sua gravità in base all'effettivo coinvolgimento: un conto è figurare come socio con quote percentuali altro è monetizzare in qualità di testimonial.
Dal rosso a Parma al ristorante milanese in zona rossa
In Italia le cose non vanno meglio. Anzi… A Parma è riuscito a mettersi nei guai da solo per qualche parola di troppo che s'è lasciato sfuggire e per la sensibilità spiccata di un arbitro che ha definito quelle frasi "atteggiamento provocatorio e critica irrispettosa": ha lasciato la squadra in dieci in un momento delicato della partita e per quel rosso diretto se l'è cavata solo con un turno di stop. A Milano la sua presenza in un ristorante pure ha destato scalpore: ufficialmente chiuso in base alle norme sulla zona rossa per la pandemia di Covid, il locale era aperto per pochi eletti tra cui l'attaccante e altri commensali lì per un pranzo di lavoro. "Un meeting senza vivande", secondo la versione dei fatti fornita dal giocatore.