Algoritmo. Detta così evoca i ricordi peggiori tra i banchi di scuola e la faccia della vostra prof che, per quanto si sforzi, sembra parlare arabo. Ma voi l'immaginate la discussione al bar dello sport sul sistema di calcolo che la Figc ha scelto per determinare la classifica se il campionato si ferma di nuovo? Battute a parte sulla comprensione delle formule matematiche, diventa davvero difficile spiegare (e far comprendere) alle persone qual è la ratio di una trovata del genere.
Lodevole l'approccio e l'exit strategy del "piano b": armonizzare la graduatoria riducendo a parametri tutte le variabili in caso di arrivo a pari punti e nell'impossibilità di ricorrere al regolamento attuale. Come fai a pesare sulla bilancia gli scontri diretti se, per ipotesi, le squadre interessate non riescono a giocarli? Dubbio legittimo. La riposta, però, non può essere: codifichiamo il futuro attraverso i numeri. Ingarbugliato e contraddittorio tutto il resto che rientra in quel "si sta facendo troppo rumore" usato dal presidente, Gabriele Gravina, per smorzare le polemiche intorno alla proposta della Federazione.
Il vulnus è uno solo, sufficiente a far cadere il castello di variabili ed equazioni elaborate per fare un po' di conti senza limitarsi a cristallizzare la graduatoria. Come puoi affidare alla logica matematica dei numeri ciò che è imponderabile e viene spesso determinato dalla fallacia umana? Come puoi ridurre a mera stima statistica ciò che ancora non è accaduto e, se accade, può riservare sorprese? Lo fanno i bookmakers ma quella è un'altra cosa e, dopo 3 mesi di stop per la pandemia, anche i valori dell'alea cambiano. Ecco perché la soluzione migliore potrebbe essere accettare il verdetto del campo (rispettando la media punti per merito sportivo) oppure disputare playoff e playout (che non riscuotono consensi).
Tanto clamore per nulla come sostiene Gravina? No, perché in un calcio che riparte con la spada di Damocle tra capo e collo (il nodo della quarantena e il rischio di fermarsi subito) servirebbero elementi di chiarezza anche nella comunicazione delle buone intenzioni. E il ricorso a formule astruse non lo è.