La Superlega è già tra noi, da diverso tempo, ma ne volevamo un’altra. Una ancora più elitaria, che accentuasse ancora di più le differenze già consolidate da anni e che tendono ad aumentare sempre di più il divario nel mondo pallonaro. Si parla di questo progetto da diversi anni e, se a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 era stato Silvio Berlusconi a paventare l’idea, nel 2012 nel libro “I Am the Secret Footballer: Lifting the Lid on the Beautiful Game” si parlava in maniera chiara di una competizione simile e che sarebbe stato solo questione di tempo prima che venisse messa sul tavolo. Molto probabilmente sarà così ma ci sono diversi punti da mettere in fila.
La Super League, come concetto assoluto, potrebbe anche essere accettabile ma il modo in cui è stato concepito questo progetto è davvero fuori dalla realtà e dalle regole basilari dello sport. Questa idea del torneo “chiuso” va contro ogni principio e idea di merito: chi stabilisce gli ingressi nel ‘circoletto’ e perché il Sassuolo non può andare a giocare col Barcellona o con il Chelsea se si è conquistato il suo posto nell’élite del calcio europeo? È chiaro che ci sono delle differenze tra club, non scopriamo l’acqua calda, ma qui si sta parlando di una delle basi della competizione. A fare ancora più specie sono le parole di personaggi come Paolo Maldini, Pep Guardiola e Jurgen Klopp, in quanto personalità importanti dei club fondatori di questa lega e assolutamente ignari di quello che stesse accadendo intorno a loro. Era questo il modo giusto per “salvare il calcio”, come ha detto Florentino Perez? Tenere tutti all’oscuro e tentare un colpo di mano? Oppure sarebbe stato meglio cercare di intraprendere questa strada con un approccio diverso? Il fatto che anche JP Morgan abbia fatto un passo indietro rende tutto ancora più surreale.
Nelle 48 ore più pazze della storia del calcio moderno, che meriterebbero a dir poco una serie tv, si è fatto continuamente riferimento alla perdita di interesse del calcio, soprattutto tra i giovani, e le risposte più incredibili per arrestare questa emorragia sarebbero format simili ai videogames o ai social network e idee come la ‘riduzione del tempo di gioco’. Ma qualcuno si è mai chiesto davvero perché tutto questo è accaduto? Non è che, per caso, chi prende decisioni, a tutti i livelli, ha lavorato esclusivamente per massimizzare i profitti e ha lasciato in secondo-terzo piano i giocatori, i tifosi e soprattutto la sostenibilità del gioco in sé? Il format della nuova Champions League si poteva pensare meglio, molto meglio, e magari farla partire prima del 2024 ma forse una lega chiusa ed esclusiva non è la soluzione a tutti i mali in questo momento. O, quantomeno, non progettata e presentata così.
Si è parlato, e si parlerà, tanto di UEFA e di FIFA come vincitrici di questa contesa ma ciò che accaduto è stato solo l’epilogo di scelte spregiudicate e scellerate da parte di alcuni dirigenti delle 12 società “scissioniste”. Non credo ci sia bisogno di sottolineare l’inopportunità di questi enti nell’ergersi come dispensatori di moralità e di valori universali ma, allo stesso tempo, è alquanto strano se a muoversi in opposizione ai due enti calcistici ora siano quelli della corrente italiana anti-maradoniana degli anni ’90 (tra USA ’94 e le varie accuse a Blatter, Havelange e Grondona) oppure coloro che quando hanno saputo dei morti in Qatar per i lavori negli stadi dei Mondiali si sono candidamente girati dall’altra parte. Non una parola, non una dichiarazione pubblica in quel caso.
Le parti che si stanno facendo la guerra da giorni dovrebbero sedersi il prima possibile ad un tavolo, nonostante la guerra di dichiarazioni che ci hanno regalato, per trovare una soluzione a questo caos e iniziare a lavorare alla luce del sole, dalla FIFA agli ‘scissionisti'. Soltanto in questo modo potranno riguadagnare un po’ di credibilità agli occhi di chi il calcio lo segue tutti i giorni. Se davvero si vuole imporre una svolta drastica, tra i tanti temi da affrontare nei prossimi mesi ve ne sarebbero almeno cinque da mettere a punto con una certa celerità:
- valutare la fattibilità dei Mondiali al Qatar dopo quanto emerso sui lavori per gli impianti;
- snellire i calendari per dare respiro agli atleti;
- lavorare ad un salary cap;
- redistribuire i premi Uefa e nazionali in maniera più equa;
- riportare i tifosi allo stadio con prezzi più accessibili e non costringerli sui divani a causa di prezzi folli, sia in casa che in trasferta.
Il momento più divertente del dibattito, però, è arrivato quando una parte della critica italiana se l’è presa con i tifosi, colpevoli di essere scesi in piazza in Inghilterra e di aver mostrato la loro disapprovazione sui social. I soliti cattivoni, insomma. La risposta migliore a questi signori, che probabilmente non avranno mai pagato un solo biglietto dello stadio o un gadget nella loro vita, è arrivata da un tifoso del Chelsea che davanti a Stamford Bridge ha esibito lo striscione “We want our cold nights in Stoke” (Vogliamo le nostre fredde notti a Stoke). In quella semplice frase c’è tutto: la passione e il rispetto verso ogni tipo di avversario.
Il nuovo progetto, che per alcuni era la nuova "comunità europea del pallone contro i sovranismi", evidentemente non ha funzionato in questa fase e non è detto che non possa essere riproposto in futuro ma la speranza è che la prossima volta non sia più la brutta copia di Totò che prova a vendere la fontana di Trevi o di Alberto Sordi nel Marchese del Grillo. "Perché io so io…”