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Superlega europea di calcio

La Superlega azzera il merito togliendoci le storie e puntando su partite-brand globali

La Superlega vuole andare oltre gli ultimi dieci anni di calcio, in cui nei campionati nazionali si è quasi annullata la competitività. La conseguenza è la cancellazione completa del concetto di merito, tanto promosso a parole da politici italiani e non solo. Non ci saranno più storie come il Leicester di Ranieri o il Napoli di Sarri, ma è l’unico modo per vendere partite-brand in tutta la Terra.
A cura di Jvan Sica
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Con i colpi a raffica di comunicati stampa di ieri, in cui è iniziata una guerra tra UEFA e le più importanti squadre del mondo, si è persa la bussola sui motivi principali e gli effetti istantanei della Superlega nel mondo del calcio. Bisogna cercare di rispondere al perché la Superlega sia stata pensata e realizzata e appena dopo a cosa porta con sé nel breve periodo. Scrivo di calcio nel senso più puro, quello che tutti seguono con attenzione, non di economia perché lì c’è tutto un altro mondo, molto più “pesante” e decisivo nella scelta fatta dalle squadre della Superlega.

Perché c’è stata la necessità calcistica di creare una Superlega?

Dopo gli ultimi dieci anni di calcio, con perdite economiche e soprattutto d’appeal nei target che dovranno sostenere il giocattolo nei prossimi 50 anni, le strade da percorrere erano due per evitare di far finire i campionati a novembre (oltre a vedere gironi di Champions League molto noiosi) e continuare appunto a perdere interesse e denaro senza più la competitività. Sì, non c’era più competitività. La Juve ha vinto gli ultimi 9 (ripeto: 9) campionati italiani, il Bayern Monaco quest’anno vincerà il suo nono. Al netto dell’annata 2013-2014, il Barcellona e il Real Madrid vincono la Liga dal 2004-2005, in Premier League c’è più competizione (e infatti è il campionato più seguito), ma sono già due anni almeno che si è deciso tutto a gennaio.

Premessa questa deriva, le strade, come detto, erano due:
a) Distribuzione basata sull’uguaglianza sostanziale e non formale dei denari dei diritti televisivi e di tutto il resto dei “soldi comuni” che girano nel calcio. Per fare un esempio semplicissimo, così ci capiamo, con i soldi così distribuiti il Napoli e la Roma avrebbero avuto la possibilità di tenersi Higuain e Pjanic e non darli alla Juve per guadagnarci tanto e ovviamente far continuare a vincere senza opposizione la Juventus (scrivo della Juve perché per noi italiani è un esempio più semplice da capire).
b) Fare una Superlega, giocare fra di loro e in pratica seguire quello che è già stato fatto nel basket. Questa sembra la strada scelta.

Seconda domanda: cosa comporterà per il calcio la nascita della Superlega?

La primissima conseguenza tocca il capitale umano. Le rose delle squadre che faranno la Superlega devono essere molto ampie in quantità e qualità e avranno, soprattutto dopo il boost iniziale, così tanti soldi da avere la possibilità e il bisogno di razziare letteralmente tutti i giocatori buoni che ci sono in giro.

Per fare il solito esempio: Juve, Inter e Milan per reggere la competizione e le altre a cui parteciperanno, non potranno non aggiungere alle loro squadre attuali gente come Koulibaly, Fabian Ruiz, Zielinski, Osimhen appena fa 10 gol in campionato e così via. Questo vuol dire che il Napoli sarà molto più debole di com’è adesso.
La prima conseguenza di questo sarà l’inutilità di giocare campionati nazionali classici, ovvero organizzati in Lega. In Italia quelle tre squadre saranno costruite per altri competitor e quindi ci sarà una distanza abissale. Escluderle può essere una scelta azzardata, perché si perderanno milioni di tifosi, e allora proporrei i playoff scudetto, per tenere vivo l’interesse durante il campionato e per la vittoria finale.

Creare una Lega a numero chiuso solo per chi vi ha diritto di nascita porta effettivamente indietro più che avanti le lancette del calcio. Nei primi 50 anni del football spesso si sono create leghe per diritto di iscrizione e non per meriti calcistici.
Il discorso sul merito dovrebbe farci ragionare poi anche sulla società che stiamo vivendo, anche se direi su quella che stavamo vivendo, perché il Covid ci farà diversi e chi diceva migliori forse oggi ci sta pensando su.
Nonostante politici italiani e non solo abbiano costruito la propria identità mediale sul concetto del merito, era evidente come non venisse più di tanto spinto come principio cardine della nostra società. Se parliamo di differenze di genere, di razza e di ceto nel 2021, vuol dire che il merito è una parola vuota di ogni azione significante.

La Superlega è l’espressione calcistica di una società in cui il merito non ha molto senso perché non produce utili. Serve un’oligarchica gestione del pallone di alto livello perché forse alla massa non interessa seguire e spendere per far vincere il merito.
Per tutto quello detto in precedenza, con la Superlega e le squadre principali che diventano delle corazzate incredibili, storie di merito come il Leicester di Ranieri, il Napoli di Sarri, il Porto di Mourinho che vince la Champions League non solo non possono più esserci ma non ha senso che accadano, perché un Leicester che vince fa guadagnare meno i due Manchester, il Liverpool e il Tottenham e di conseguenza l’intero mondo del pallone inglese ed europeo.
L’equazione è: togliere il merito, far giocare solo le squadre in cui sono concentrati tutti i migliori calciatori al mondo (e per tutti, intendo proprio tutti) e puntare sull’eventizzazione conseguente che dovrebbe portare con sé, di default, una partita come Real Madrid-Manchester United. Con questa partita-brand il calcio si vende molto meglio in ogni angolo della Terra, guadagnando di più. Semplice, rischioso e, pensando all’oggi, purtroppo vero.

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