La rivoluzione è durata solo 48 ore, eppure resterà nella storia. Perché mai prima d’ora la classe dirigente del calcio, ai massimi livelli, si era prodotta in un’esibizione di dilettantismo di questa portata. Volevano "salvare il calcio", come spiegato dalla mente della Superlega poco più di 24 ore fa. Sono finiti per allestire un circo in mondovisione che crea imbarazzo alla storia dei club che rappresentano e ai propri tifosi.
Florentino Perez, Andrea Agnelli, Joel Glazer. A leggere i nomi quasi non ci si crede che il tentativo di sovvertire le gerarchie del calcio mondiale, covato e pianificato per anni, sia stato attuato mettendo in fila, uno dopo l’altro, errori grossolani e gravi dimenticanze. Talmente approssimativi da lasciare forti dubbi sulla possibilità che un simile danno di reputazione possa mai trovare riparo.
Hanno tentato un golpe per il quale sono stati necessari anche atti di rara bassezza. Fino a pochi giorni fa avevano lavorato al fianco della Uefa alla riforma della Champions garantendo massimo appoggio. Si sono prodigati nelle rassicurazioni ai colleghi spiegando che le prime voci di una scissione erano le solite fake news. Hanno tradito ruoli istituzionali di prestigio (come la presidenza dell’Eca) fingendo di farne gli interessi, mentre si tramava nell’ombra. Sono arrivati persino a non rispondere più al telefono quando il castello di bugie era diventato ormai troppo grande per essere nascosto.
Nonostante questo, il peggio lo hanno dato nel momento cruciale, quello in cui si doveva fare la differenza presentando al pubblico la nuova Superlega Europea. La svolta epocale del calcio promossa da una strategia comunicativa disastrosa: un comunicato distribuito dopo mezzanotte senza alcun lavoro di preparazione, un sito spoglio e approssimativo, un'intervista ad una trasmissione spagnola nota più che altro per fare bar sport di spessore, un altro comunicato (quello della resa) diffuso in piena notte. Come parlare da soli allo specchio, mentre dall’altra parte c’era il mondo.
E poi la gestione dei rapporti. Non quelli esterni, che si sapeva sarebbero stati conflittuali. Ma quelli interni, dal principio. Non erano d'accordo tra di loro e forse non lo sono mai stati. A cominciare dai forfait di Bayern e PSG che già lasciavano intuire come il fronte dei grandi non fosse poi così compatto. Le squadre inglesi si sono sfilate in blocco nel giro di due giorni, schiacciate da pressioni di sistema e di massa ampiamente prevedibili. Non hanno pensato di avvisare neanche i propri management, impiegati, allenatori e calciatori di quello che stava per accadere. Avrebbero potuto prepararli all'onda di dissenso che li avrebbe travolti di lì a poco, ma li hanno lasciati all'oscuro di tutto e se li sono ritrovati contro quando ormai il destino della Superlega era già segnato.
Ufficialmente il progetto è sospeso, ma viene da domandarsi con quale credibilità torneranno a lavorarci. Forse lo faranno davvero, con quella stessa faccia tosta con cui volevano "salvare il calcio". Loro, gli imprenditori che sono stati capaci di accumulare sei miliardi di debiti al comando di 12 tra i club più importanti del pianeta.