La strategia difensiva di Pogba sul caso doping: può evitare la stangata solo in un caso
Le parole di Rafaela Pimenta nelle ore più burrascose della vicenda doping tracciano il caposaldo della strategia difensiva che Paul Pogba adotterà per evitare una sanzione durissima. "Non ha mai voluto infrangere le regole", parte da qui la tesi che il calciatore proverà a esporre e a far valere perché la squalifica non assesti una mazzata definitiva alla sua carriera, già condizionata in negativo da una lunga sequenza d'infortuni. Entro il 20 settembre conoscerà anche l'esito delle contro-analisi richieste sul campione b della provetta in cui sono state rilevate tracce di testosterone.
L'obiettivo principale è dimostrare attraverso riscontri scientifici che la sostanza trovata nelle urine non è stata assunta in maniera volontaria ma è il frutto di altri prodotti contaminati dei cui effetti era assolutamente ignaro. È il caso previsto dal regolamento della cosiddetta "nessuna colpa o negligenza" in cui il giocatore riesce a comprovare "che non era a conoscenza, né sospettava, né avrebbe potuto ragionevolmente sapere o sospettare pur utilizzando la massima cautela, di aver violato le norme antidoping".
In altre parole, se il francese riesce a convincere il procuratore antidoping della propria buona fede relativamente al consumo del rimedio proibito (la crema che un amico medico gli avrebbe fornito e sarebbe stata acquistata negli Stati Uniti, ndr), e che il suo è stato solo un atteggiamento viziato da superficialità, può sperare di cavarsela con una punizione meno severa.
Pogba non ha molta scelta anche perché la stessa, semplice e cruda ammissione di responsabilità non basterebbe a evitargli la stangata. Non è mera questione di collaborazione che punti a un accordo o a una sorta patteggiamento ma di evidenziare in maniera accurata e veritiera quelle "circostanze eccezionali" che gli permetterebbero di sperare in una riduzione o addirittura in un annullamento della squalifica.
Tradotto in termini: invece di restare schiacciato da un verdetto di squalifica di 4 anni, in assenza di intenzionalità potrebbe vedere decurtata la pena anche della metà (2 anni) e beneficiare anche di altre attenuanti per limare ulteriormente la sanzione. Difficile pensare che il calciatore e i suoi rappresentanti scelgano la strada della battaglia legale ricusando ogni addebito: in una situazione del genere si aprirebbe il lungo percorso tra giustizia sportiva italiana, Tribunale Nazionale Antidoping e, in caso di appello, Tribunale Arbitrale dello Sport.