La storia di Vincenzo Fuoco, ex calciatore vittima di abusi: “Un fenomeno molto diffuso nel calcio”
Non è stato facile raccogliere il coraggio e raccontare tutto davanti alle telecamere senza filtri, ripercorrendo i passi di una storia che ha segnato la vita. È quello che ha fatto Vincenzo Fuoco, ex calciatore e protagonista del film "Cattivi Maestri" in cui ripercorre gli abusi che ha subito per mano di un dirigente sportivo quando era poco più che un bambino e giocava in una squadra di calcio professionistica della sua regione: oggi lavora alla FIGC e si occupa proprio della tutela dei ragazzi più giovani, per impedire che accada di nuovo tutto questo.
Il film è un documentario sulla sua vita, con i racconti diretti di lui e anche di sua madre che gli è sempre stato accanto. La produzione targata Lupin Film, presentata in anteprima mondiale alla 19a edizione della Festa del Cinema di Roma, è stata realizzata con il patrocinio del CONI ed è stata diretta da Roberto Orazi. Vincenzo Fuoco ha parlato ai microfoni di Fanpage.it esplorando la sua storia e raccontando tutto quello che si nasconde dietro questo film.
Hai deciso di raccontare la tua storia senza nasconderti, cosa ti ha portato a compiere questo atto di coraggio dopo tanti anni?
"A spingermi è stata una necessità, innanzitutto personale. La necessità di liberarmi dal peso di questo segreto, di questa vergogna, dal peso del sentirmi responsabile, dal peso del non capire perché non riuscissi ad avere ascolto e giustizia. Quindi ho pensato che, siccome iniziando a parlare a bassa voce si veniva ascoltati poco, bisognava alzare sempre di più la voce, finché siamo arrivati a questo. A questo punto anche altre persone possono capire che alzando la voce si può provare a stare meglio e a liberarsi da questo peso che ti si attacca addosso ed è difficilissimo liberarsene".
Com'è nata l'idea di prendere questa storia e trasformarla in un film?
"L'idea nasce dal fatto che io avevo scritto a una giornalista, Daniela Simonetti. Da lì poi ho conosciuto il produttore Riccardo Neri e si è pensato che la mia fosse una storia un po' emblematica, visto i riscontri, il tempo, il mio ruolo anche ora all'interno della federazione. Viste tutte le circostanze si è pensato che potesse essere utile non solo per me, ma anche per gli altri, raccontare questo mondo sommerso".
Il racconto è senza filtri e ha le voci dei diretti protagonisti della vicenda, a cominciare da te e tua madre. Quanto è stato difficile mettersi così a nudo davanti alla telecamera?
"Per me è stato tanto difficile quanto essenziale, perché avendo vissuto per più di vent'anni una vita fatta di bugie, di espedienti per nascondere ciò che stava succedendo, ho capito poi che l'unico modo per me ora per stare bene è dire la verità, essere me stesso, essere genuino con tutti i miei limiti, superando anche la vergogna per ciò che era successo. E io credo che alla fine paghi sempre, alla fine la verità è il mezzo più potente perché nessuno può cercare un significato nascosto se quello che io porto è la verità. Forse non sarà bella, non sarà impacchettata bene, ma sicuramente è quello che è senza retropensieri, senza messaggi nascosti, ma è tutto sul piatto".
Poi ci sono le scene del passato interpretate dagli attori. Quanto ti ha fatto male rivedere da fuori tutto ciò che hai attraversato?
"Mi fa piacere la tua domanda perché è stata la parte più difficile per assurdo, per quanto riguarda me, perché una delle conseguenze più grandi di tutto questo è il fatto che io ricordavo veramente poco della mia infanzia. Per me tutto aveva inizio da quel momento e tutto si concentrava sulla gestione di quella situazione. Devo ringraziare anche mia mamma, che tra l'altro mi ha meravigliato per il suo coraggio, ma soprattutto per essersi dimostrata mamma nel vero senso del termine perché mi ha accolto il mio dolore, l'ha preso, l'ha fatto suo e mi ha aiutato a renderlo qualcosa di positivo. È stato difficilissimo per me ripercorrere i primi momenti perché sono quelli pieni di rimpianti, sono quelli in cui io penso a cosa sarei e cosa avrei potuto fare di diverso se tutto quello non fosse accaduto".
Il tema degli abusi è delicato e importantissimo, ma nel mondo del calcio non se ne parla mai…
"No, hai ragione nel senso che nel calcio se ne parla solo quando i nomi sono altisonanti o sono nomi che comunque danno la notizia già in sé. In realtà io, anche per testimonianza diretta, posso assicurare che all'interno del mondo del calcio questo è un fenomeno diffuso e che persone che poi con il calcio hanno poco a che vedere riescono a trovare in un ambiente sportivo come il calcio un terreno di caccia assolutamente fertile perché si aggrappano alle speranze dei ragazzi, dei genitori. Quindi il silenzio e l'ambizione, alle volte eccessiva anche dei genitori, possono portare a chiudere le orecchie e chiudere gli occhi su quello che poi succede in realtà alla luce del sole".
Cosa porta ragazzi così giovani a seguire, appunto, “Cattivi Maestri”?
"Bisognerebbe chiedere ai cattivi maestri quali sono i metodi che loro riescono ad utilizzare per portare verso di sé i ragazzi. Loro sono mossi dalla passione, dall'amore per questo sport come lo ero io, quindi io non potrei dirti cosa muove se non i meccanismi che una persona adulta mette in atto nei confronti di un bambino che non ha gli strumenti per comprendere ciò che in realtà gli si sta chiedendo o lo si sta inducendo a fare. Penso che la responsabilità di un ragazzo sia nulla, ma credo che la vera responsabilità stia in mano agli adulti che devono dare gli strumenti ai ragazzi per comprendere ciò che gli succede attorno".
Ora lavori per la FIGC come tecnico qualificato del Settore Giovanile e Scolastico, sei impegnato nella tutela dei minori. In che modo si possono aiutare concretamente questi ragazzi?
"Il modo migliore è parlando, segnalando alla federazione che ha dei canali ufficiali molto facilmente reperibili. È una federazione molto lungimirante sul tema. Bisogna dare voce a questa cosa denunciando, parlando anche di situazioni che potrebbero essere critiche. È sempre meglio sbagliarsi per eccesso che per difetto, penso che sia questo uno dei primi consigli che do. Poi l'altro consiglio è sicuramente quello di non concentrarsi solo ed esclusivamente sul successo o sulla prestazione, ma rendersi conto che i nostri ragazzi devono divertirsi e che il talento poi emerge da solo".
Quale tipo di intervento può essere attuato affinché non si ripetano più storie del genere?
"Sicuramente dire mai più è utopistico ma è quello a cui bisogna mirare. Un parte è già stata attuata: c'è stata la riforma dello sport che ha inserito l'obbligo di previsione all'interno delle società, di protocolli e di codici di condotta volti proprio alla tutela dei minori. Ci sono queste politiche di safeguarding che stanno diventando sempre più oneri essenziali all'interno delle società. Ma soprattutto fare tanta formazione, quindi capire di cosa stiamo parlando, perché il fatto che sia un argomento così delicato e spinoso a volte fa anche parlare a sottovoce. In realtà bisogna parlarne, bisogna formare e informare i genitori, dare gli strumenti per potersi orientare nella tutela dei minori".
Il film è patrocinato dal CONI e dalla UEFA. Le istituzioni calcistiche ti sono state vicine in questi momenti? Hai avuto modo di parlare con qualcuno di loro?
"Io parlo per la FGC, da parte loro sono stato accolto nel momento in cui ho portato questa mia storia e mi è stata data la possibilità di poter provare a fare la mia parte. Sono contento di aver iniziato questo percorso in maniera separata dall'uscita del documentario, sono due cose che sono sulla stessa linea ma che sono nate in momenti differenti. La mia federazione mi ha riconosciuto, mi riconosce tuttora e mi dà la possibilità di crescere in questo ambiente e di dare il mio contributo. Per ciò che riguarda le altre sicuramente ho avuto l'appoggio, non ho un contatto diretto con le altre federazioni ma so che tutte ora si stanno muovendo sul tema, perché sta diventando sempre più di attenzione pubblica e questo ci fa piacere".
C’è un messaggio che vuoi lanciare a chi sta attraversando lo stesso inferno?
"Quello che mi sento di dire io è di dare voce a tutto ciò che stanno provando, quindi al dolore, alla rabbia, alla fatica, all'incomprensione. Perché a volte non si comprende neanche quali sono le sensazioni che si provano, quindi è di dare voce e di non aspettarsi che gli altri lo capiscano, ma di pretendere di essere ascoltati perché è l'unico modo per poter smettere di colpevolizzarsi, di avere vergogna. Bisogna dare invece agli altri la possibilità di aiutarci dandoci degli strumenti in più per capire che non siamo soli e che c'è qualcuno che tiene al nostro bene come è stato per me con le persone che hanno deciso di darmi una mano a dare voce al mio progetto".