La storia di Luigi Fresco, il Ferguson italiano da 43 anni sulla stessa panchina: “E sempre gratis”
Da quasi 43 anni Luigi Fresco siede sempre sulla stessa panchina, riuscendo nell'impresa di portare il club del quartiere Borgo Venezia dalla Terza Categoria ai play off di Serie C, sfumati agli ottavi di finale contro il Pescara qualche mese fa. Il sogno di raggiungere la cadetteria però rimane. E chissà che prima o poi non ci riesca. “L'obiettivo quest'anno è salvarci, magari in anticipo come lo scorso, e poi magari giocarci di nuovo i play off. Non è facile, ma anche quando eravamo in Terza ed io scherzando dicevo che saremmo arrivati tra i professionisti sembrava una pazzia”.
Classe 1961, allenatore, presidente e vero e proprio deus ex machina della Virtus Verona, formazione dalla storia centenaria della città veneta: è arrivato in rossoblu nemmeno ventenne, prima nelle vesti di calciatore (“Giocavo nel ruolo di stopper, diciamo che me la cavavo”), poi come responsabile del settore giovanile e infine, dalla primavera del 1982, alla guida della prima squadra, scalando in breve tempo anche le gerarchie societarie. La sua è una storia calcistica unica, tanto da fargli guadagnare il soprannome di Ferguson italiano.
“Mi fa piacere questo paragone, anche perché è una persona che stimo molto – spiega il tecnico a Fanpage.it –. Lui però ha fatto 26 stagioni consecutive, io 43. Secondo me nessuno riuscirà a battere questo record: oggi il mondo va in maniera diversa, è tutto più veloce, tutto in cambiamento. Si fa fatica già a trovare qualcuno che resti allo stesso posto per dieci anni, quaranta mi sembra una cosa difficile. E poi magari mi allungo ancora un po' -continua-.Fino ai cinquant'anni? Potrebbe essere quello l'obiettivo”.
Il suo battesimo sulla panchina dei grandi della Virtus è datato, come detto, primavera 1982, quando la squadra, a quattro giornate dalla fine del campionato di Seconda Categoria, gli viene affidata nel tentativo disperato di una salvezza che però non arriva. Eppure, da quel momento inizia l'era Fresco, con sette promozioni e sei campionati tra i professionisti. La prima volta è stato nel 2013, grazie alla vittoria per 3-1 contro la Casertana, in uno spareggio senza ritorno sul neutro di Foligno. “È stata forse la più bella di tutte” ammette l'allenatore-presidente nato a Rovereto, ma col cuore inevitabilmente veronese.
Ma come si fa a rimanere così tanto tempo sempre allo stesso posto? “Il segreto per non essere esonerati è quello di ricoprire anche il ruolo di presidente” ci scherza su Fresco, che però poi aggiunge: “No, è la passione dai. Si riesce a fare quando ti innamori di una realtà, di una società, e vuoi farla crescere. Dove trovo la motivazione? Diciamo che l'importante è avere un obiettivo -prosegue-. E poi anche il fatto di avere ogni anno dei calciatori nuovi, nonostante dispiaccia per chi va via, perché magari ti ci affezioni, è anche uno stimolo in più. Ti dà un senso di novità che aiuta magari a togliere anche un po' di monotonia”.
“Io ho sempre lavorato a scuola come direttore amministrativo -racconta ancora Fresco-. Sono andato in aspettativa due anni fa e ora vado in pensione. Prima però facevo tutto ed era molto dura. Perché insomma, la mattina a scuola, poi allenare, poi seguire la società”. Non proprio una passeggiata, soprattutto quando si passa dal mondo dei dilettanti a quello professionistico. “Le differenze? Beh, più si va giù e più ci si diverte, ti puoi concedere anche qualche licenza poetica -dice-. Più si va su invece e più diventa facile, perché hai a disposizione tutti ragazzi che sanno che è il lavoro e sono predisposti, ci tengono. E se poi sono simpatici come questi puoi anche curare l'aspetto umano”.
Un concetto che per Gigi Fresco non è secondario. “Per me la gestione del gruppo è molto importante -sottolinea infatti il mister rossoblu-. Noi sono 43 anni che facciamo tutti insieme la cena del giovedì. Ma facciamo anche un sacco di altre cose. Quando Cesare Prandelli ha portato la nazionale ad Auschwitz per esempio, noi c'eravamo stati già qualche anno prima”. Non solo: l'impegno del tecnico tuttofare e del club in ambito sociale (“Tieni conto che sono laureato in pedagogia” ricorda) è tangibile pure in diverse attività portate avanti in oltre quarant'anni per aiutare tossicodipendenti o migranti aggregandoli al gruppo durante i ritiri, scovando anche nuovi innesti per la rosa, o in iniziative che col calcio c'entrano poco, come il viaggio verso Reggio Emilia dopo il terremoto del 2012, per aiutare le popolazioni colpite.
“Io lo faccio soprattutto per passione più che per lavoro -racconta ancora Fresco- anche perché l'ho sempre fatto praticamente gratis. Adesso prendo il minimo, ma avevo anche provato come allenatore a rinunciare allo stipendio, però non me lo hanno permesso”. Zemaniano nei metodi d'allenamento, per sua stessa confessione, il tecnico-presidente (attualmente formalmente onorario, ma al vertice della società nei fatti) ammette di non essere in prima linea nella campagna acquisti (anche se “diciamo che partecipo all'ideazione”) e di sapere che prima o poi arriverà il giorno di smettere di assaporare il profumo del campo, o meglio della panchina.
“Non c'è niente che dura in eterno -dice-. Spero di accorgermene prima quando non sarò più in grado di allenare. Una Virtus senza Fresco e viceversa, sono due cose possibili -conclude-. Ho già dei collaboratori validi che porterebbero avanti sicuramente bene quello che stiamo facendo assieme, mentre io senza Virtus dovrei chiaramente riadattare un po' tutto il mio stile di vita. L'idea che mi dà è più quella di restare con un ruolo ridimensionato e dare una mano a fare quello che serve”.