La storia dell’unica lite tra Vialli e Mancini: “Per 10 giorni ci parlammo per interposta persona”
Gli ritorna in mente e fa male. Roberto Mancini si volta e ha quasi l'impressione che Luca sia ancora accanto a lui. Negli occhi e nella testa ha ancora le parole e le immagini dell'ultimo incontro, quando ne ha parlato a Porta a Porta sembrava come rapito, come se (ri)vedesse se stesso in quei momenti. Non ci poteva, non ci può credere. Non gli sembra ancora vero, certe cose le attenua (ma non le cancella) solo il tempo. Succede nella quotidianità e ne esci un poco alla volta, senza fretta. Si dice che l'assenza è presenza, niente di più vero quando entrambe si associano al dolore ineluttabile per la morte di una persona cara.
Per il commissario tecnico della Nazionale Vialli è stato tutto: compagno di squadra, amico, collaboratore più fidato, la persona che vorresti vicino quando sei in trincea perché sai ti coprirà sempre le spalle, il complice che ti capisce con uno sguardo e un cenno, l'unico al quale confideresti un segreto.
"Abbiamo vissuto quasi tutta la nostra vita insieme, c'era un legame stretto, quello tra due fratelli. Luca per me era questo. Il nostro rapporto è stato di grande rispetto, affetto, amore, amicizia". E adesso che non c'è, quella sensazione di vuoto può essere colmata e trovare pace in un solo modo: "Speriamo di dedicargli presto una grande vittoria".
Qualificarsi per i Mondiali del 2026 è un primo passo. L'Italia manca da troppo tempo: l'ultima volta fu nel 2014 e ne uscì con poca gloria ai gironi. Ha fallito la qualificazione dopo il trionfo degli Europei, il boccone più amaro condiviso con Luca. Era lì (anche) nella cattiva sorte. C'è sempre stato, lo ha sempre saputo. Pure quando la gioventù, l'enfasi delle "cose di campo", la pressione, lo stress delle partite e dei risultati, la rigidità degli allenamenti serrati ne hanno messo alla prova pazienza e unione. Non le hanno mai scalfite. Luca e Roby le hanno seppellite con una risata.
Una volta, ai tempi della Sampdoria e di Vujadin Boskov, i gemelli del gol litigarono e misero il broncio. "Ma era veramente per una stupidata – ha ricordato più volte Mancini -. Eravamo in allenamento, durante un'azione di gioco, e probabilmente in quel momento lì a me giravano e a lui anche". Menzionarono l'episodio anche in una puntata di ‘Che tempo che fa' quando il conduttore, Fabio Fazio, fece riferimento a qualcosa che accadde durante un allenamento: "Per una decina di giorni ci parlammo per interposta persona".
Cosa era successo? "Credo che il vero motivo fosse perché non avevamo mai litigato e quella volta abbiamo voluto provare a farlo – ha ricordato Mancini a Libero -. Durante un allenamento, Luca, anziché chiamarmi Roby, come sempre, mi chiamò Mancini, e allora io gli dissi irritato: ‘Scusa ma perché mi chiami Mancini?'. C'è stata una discussione…".
Cose che fanno i ragazzi quando corrono appresso a un pallone. Cose di campo. Cose che capitano. Come io e te che stiamo a guardare tutte queste cose, passare.