La storia dello Scudetto che il Napoli ha perso in albergo: “I calciatori piangevano per le scale”
Le parole più sagge, quelle che ti vengono dal profondo dell'anima a mente fredda, le pronunciò Marek Hamsik e segnarono un passaggio – il più doloroso – per la stagione del Napoli nel 2018: lo scudetto perso in albergo a Firenze. Fu un ragionamento da uomo di campo che esce a testa alta e non sa darsi pace ma non vuole abbandonarsi al vittimismo.
Dopo aver vinto a Torino lo scontro diretto con la Juventus e quasi annullato lo svantaggio dalla capolista, la squadra di Sarri aveva creduto davvero che il sogno nel cuore potesse diventare realtà. E che sì, 28 anni dopo Maradona, la conquista dello scudetto sembrava possibile.
Il copione scritto dagli dei del pallone aveva in serbo un altro finale: sarebbe andato in scena tra San Siro (dove si giocò quell'Inter–Juve scandito dalle polemiche per la mancata espulsione di Pjanic e dalla zampata di Higuain), le stanze dell'hotel che ospitava i partenopei (nervosi per l'arbitraggio a cui avevano assistito, consumati dalla tensione) e il Franchi tinto di Viola (che esplose in un boato per la tripletta di Giovanni Simeone, proprio lui che oggi sta per conquistare il titolo sotto il Vesuvio).
Inter-Juventus in tv ci ha lasciato dentro qualcosa alla quale non riuscimmo a gestire – disse lo slovacco -. Il campionato non lo ha vinto la Juventus ma lo abbiamo perso noi. Ci sono state situazioni che hanno contribuito a demoralizzarci. Abbiamo sentito il mondo caderci addosso e ci è mancato il carattere per reggere a quella situazione psicologicamente estrema.
Ironia della sorte, sulla panchina dell'Inter di allora c'era Luciano Spalletti: nel giro di un paio di minuti (tra il 42° e il 44° della ripresa) le reti di Cuadrado e del Pipita gelarono anche lui, che pure attirò critiche per aver sostituito Icardi con Santon, privando la squadra del suo uomo più pericoloso in attacco e fallendo nel tentativo di arrocco. Il Napoli null'altro poté fare che assistere, impotente, a quel che stava accadendo al Meazza. A distanza di un po' di tempo da quella serata tremenda, fu lo stesso Sarri (diretto alla Lazio) a ricordare alcuni momenti di quella giornata. La sua riflessione fu iconica.
Se alla 35ª giornata – disse l'allenatore – fai giocare le squadre allo stesso orario può cambiare qualcosa. La realtà è che tra l'88° di Inter-Juve e l'inizio della nostra partita siamo passati dal sorpasso possibile al campionato virtualmente finito.
Quel Napoli che incantò la Serie A per la perfezione del suo gioco, gli equilibri tattici e la qualità, la capacità di esaltare le doti dei singoli (camaleontiche quelle di Mertens) per fonderle in un collettivo pronto a tutto, finì in mille pezzi già alla vigilia della partita con la Fiorentina. Il record di 91 punti da secondo in classifica lasciò un retrogusto amaro e l'espressione "purtroppo abbiamo perso lo Scudetto in hotel, avrei preferito farlo in campo" divenne l'icona di quell'annata in cui i partenopei sfiorarono la grandezza. Ma qualcosa andò storto.
Ci si può costruire sopra qualsiasi sfottò – aggiunse Sarri -. Chi ha vissuto quella notte sa a cosa mi riferivo, quando sono salito in camera ho visto giocatori piangere per le scale. C'è stato un contraccolpo feroce, come se fosse finito un sogno dopo episodi discutibili.
La tripletta di Simeone si abbatté come un tornado su quel che restava di un gruppo molto provato dal punto di vista emotivo per notte insonne e coi nervi a pezzi, con la sensazione martellante nella testa che tutto era già stato scritto. E che così doveva andare. Il giorno dopo fu un disastro, il "rosso" a Koulibaly dopo pochi minuti fu il colpo di grazia: il Napoli crollò sotto il peso della rabbia per i condizionamenti esterni, per la mancata ammonizione/espulsione di Pjanic (a distanza di tempo il direttore di gara, Orsato, ha riconosciuto di aver sbagliato), per i sospetti dell'audio sparito e per la gestione dell'arbitro Mazzoleni.
Eravamo arrivati a un passo dallo scudetto con un gioco meraviglioso e unanimemente riconosciuto – disse il presidente, Aurelio De Laurentiis -. Ma so anche che nel calcio esistono fattori esterni. Quando verranno sconfitti, certe cose non accadranno più.