La Spagna di oggi ai Mondiali è quello che sarebbe dovuta diventare l’Italia (e invece no)
Furie Rosse sotto tutti i punti di vista. La Spagna vista all'esordio ai Mondiali 2022 in Qatar è stato un concentrato di onnipotenza. L'assoluto dominio totale della nazionale di Luis Enrique è stato testimoniato non solo dai 7 gol rifilati alla Costa Rica, ma anche dagli incredibili numeri statistici che hanno visto gli spagnoli effettuare più di 1000 passaggi con un possesso palla pari a più dell'80%. L'impressionante esordio della Spagna però fa ancora più male alla nostra Italia. Perché? Il percorso della Roja in questi anni è stato di totale cambiamento. Una rivoluzione iniziata proprio dopo le vittorie dei Mondiali nel 2010 e degli Europei nel 2008 e 2012.
Da quel momento in poi, dai vari Puyol, Sergio Ramos, Xavi e Iniesta – solo per citarne alcuni – si è passati a considerare l'ipotesi di dare il via a un normale ricambio generazionale che da lì a poco sarebbe stato necessario, quasi un obbligo. Un progetto che la Federazione ha portato avanti con grande attenzione valorizzando quei giocatori che nei vivai dei club spagnoli si erano messi maggiormente in evidenza e che in alcuni casi li aveva anche visti esordire in prima squadra. È il caso di Gavi, che dopo avere segnato alla Costa Rica a 18 anni e 110 giorni, è diventato il più giovane marcatore in una partita dei Mondiali dai tempi di Pelé nella finale del 1958 contro la Svezia a 17 anni e 249 giorni. C'è dunque un concentrato di tutto questo lavoro degli ultimi anni nella rosa di una Spagna che si è presentata ai Mondiali con una squadra giovanissima.
Raya, Laporte, Jordi Alba, Carvajal, Azpilicueta, Busquets, Koke, Morata e Sarabia: sono gli unici 9 giocatori della rosa della Spagna ai Mondiali ad aver superato i 27 anni (età compiuta dal solo Marcos Llorente). Gli altri invece sono tutti giovanissimi e non superano i 26 anni. La Spagna in questo modo si è garantita una generazione di giocatori per i prossimi anni sostituendo meticolosamente e con grande attenzione, ogni singolo giocatore esperto con un giovane pronto a crescere e migliorarsi in nazionale. Cosa che non è accaduta all'Italia: e i risultati lo confermano.
L'Italia ha capito con colpevole ritardo che forse dopo i Mondiali 2006 vinti in Germania andava cambiato qualcosa. E invece nonostante le brutte figure alle successive edizioni 2010 e 2014, con tanto di finale degli Europei persa proprio contro la Spagna nel 2012, la nazionale azzurra è andata avanti con un ricambio generazionale molto lento. E pensare che nel 2016, ovvero dieci anni dopo il successo di Berlino, l'età media della nostra nazionale era di 26,19 anni. Sintomo che si stava andando sulla strada giusta ma coloro i quali dovevano essere i campioni del domani, il più delle volte non hanno trovato spazio nei loro club finendo poi lentamente per spegnersi. È il caso dei vari Scuffet, Rugani, Ogbonna, De Sciglio, Conti, Verdi, Gagliardini e Inglese, solo per citarne alcuni.
Negli anni infatti gli azzurri ad essere delle autentiche meteore in nazionale sono stati tanti e purtroppo la mancata continuità di gioco ha danneggiato un'Italia che ha dovuto ripiegare sempre su una sorta di "usato sicuro" che tra il 2017 e il 2022 però, ci è costato la qualificazione a due Mondiali nonostante la vittoria a sorpresa degli Europei 2020. Proprio da quest'ultima vittoria si sarebbe dovuti ripartire e inserire in gruppo altri giovani capaci di poter ridare all'Italia il giusto ricambio che ad oggi però Mancini sta provando a fare.
Il mancato a approdo a Qatar 2022 è stato uno spartiacque importante da questo punto di vista. L'attuale Ct azzurro ha infatti subito inserito nuovi giovani senza il timore "all'italiana" che potessero bruciarsi. Gli ultimi esordienti con l'Italia sono stati il 2006 Pafundi e Miretti che ha debuttato contro l'Austria. Sono stati 55 i giocatori in totale ad aver esordito con gli azzurri dall'avvento di Mancini nel maggio 2018. Meglio tardi che mai direbbe qualcuno…Ma quanto ci è costato…