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La sofferenza di Galli per la morte del figlio: “Sei in ginocchio, strisci sul pavimento. Non se ne esce”

L’ex portiere ha parlato del dramma che ha segnato profondamente la sua vita, quella della famiglia per il grave lutto che lo colpì in quel ‘tragico’ febbraio 2001. “Un giorno rivedrò mio padre e mio figlio”.
A cura di Maurizio De Santis
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L'ex portiere, Giovanni Galli.
L'ex portiere, Giovanni Galli.

Come si fa a sopravvivere al dolore per la perdita di un figlio? Come si fa a reagire? E, più ancora, come si esce dalla spirale di strazio e tristezza che prendono il sopravvento? L'ex portiere, Giovanni Galli, ha parlato del dramma che ha segnato profondamente la sua vita, quella della famiglia. Ha visto la morte del suo ragazzo con gli occhi e ha potuto far nulla, se non restare immobile.

Sono trascorsi 22 anni da quel maledetto febbraio 2001 ma sembra ieri, perché certe cose non ti abbandonando mai. Impari a conviverci e allora ti sembra di averle superate. Però, sono lì, dietro l'angolo più oscuro e ci vuole poco per inciamparvi sopra. Niccolò era un ragazzo nel fiore degli anni (18), difensore che s'era fatto le ossa in Inghilterra, nelle giovanili dell'Arsenal era tornato in Italia ma la sua carriera venne stroncata da un incidente in moto.

In bellissimo post su Instagram, che risale a un po' di tempo fa, Galli scrisse queste parole molto belle. A leggerle si può toccare con mano la sofferenza: "Quando penso a Niccolò, a quando ci rivedremo, spero prima di tutto di poterlo riconoscere. Perché non lo so se nell’Aldilà ci si ferma all’età della morte o se si invecchia come quaggiù. Saremo due entità astratte? Saremo due corpi? Chissà. Io lo devo rivedere. Buon compleanno Nicco".

Ecco perché quando racconta il suo dramma a distanza di anni dice: "Non se ne esce. È un percorso", sono le parole nell'intervista a il Foglio. L'ex portiere parla del grave lutto che lo colpì con la lucidità di chi conserva impresse dentro di sé tutte le emozioni di quei momenti, dalla perdita shock ad abituarsi all'assenza, ad accettare la realtà fino a elaborare quel lutto che è come veder morire parte di sé. Non importa il cammino e quanto tempo occorra per farlo, il tempo interiore è peculiare, non c'è misura di riferimento che tenga rispetto alla percezione dell'umano dolore.

"Il percorso è quello di uno che improvvisamente inciampa su un gradino e cade per terra. Sei in ginocchio, strisci sul pavimento e devi decidere se rialzarti o continuare a camminare a quattro zampe. Per provare a rimetterti in piedi, hai bisogno di aiuto".

Bisogno d'aiuto, perché nessuno si salva da solo. Bisogno d'aiuto perché a un certo punto la vita ti mette dinanzi allo specchio e presenta il conto delle fragilità. "Quello più importante te lo può dare solo la famiglia. Dovunque andassi, è stata sempre con me". Galli spiega quale possa essere il valore, quanto siano importanti valori del genere, parlando dell'esperienza personale, di come gli affetti più cari e i sentimenti più genuini siano l'unico salvagente ai quali aggrapparsi.

"Ho conosciuto Anna (la moglie, ndr) quando avevo 17 anni e lei 14. Non ho mai smesso di amarla. Carolina e Camilla (le altre due figlie) saranno sempre il mio orgoglio e la mia più grande consolazione. Oltre la famiglia, mi ha aiutato la fede".

Percorso è la parola che Galli utilizza anche per l'ultima riflessione dedicata al figlio, al rapporto che s'è interrotto in maniera traumatica. "Il pezzo di strada fatto assieme è stato intenso, ma troppo breve. Magari riprenderà altrove… ma non so in quale dimensione. Rivedrò mio padre e mio figlio". 

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