La rivincita di Ventura, monologo sofferto davanti alle telecamere: “Il colpevole ora è chiaro”
Cosa è peggio: l'Italia ancora una volta fuori dai Mondiali oppure l'ex ct che, crocifisso e sbertucciato per aver fallito quattro anni prima, adesso rialza la testa e toglie sassolini dalla scarpa? Che pessimo dilemma. Gian Piero Ventura è il grande sconfitto dopo il fallimento che ha dato una spallata anche a Roberto Mancini. In Azzurro era arrivato proprio per centrare l'obiettivo mancato dal predecessore e ha fatto la stessa fine: eliminato ai playoff, per giunta contro un avversario di rango notevolmente inferiore e per colpa (anche) di un gol preso da 30 metri. ‘Mancio' ha vinto gli Europei (trofeo sui quali in pochi avrebbero scommesso) ma perso la grande opportunità di Qatar 2022, pure per lui vale la stessa riflessione: la percezione del minuto dipende da quale lato della porta del bagno ti trovi. Tanto lui quanto Ventura sono rimasti chiusi fuori.
A "Le Iene", in prima serata su Italia 1, Ventura si sfoga nel monologo ospitato dal programma. Il tema è una ferita che ancora sanguina ed è dolorosa: la Nazionale che non si è qualificata per la Coppa del Mondo. E il fatto che sia davanti alla TV a parlarne si accompagna a una triste constatazione: eravamo messi male allora, lo siamo anche adesso. It's coming Rome è stata una bellissima e dolcissima illusione. "Avremo rimpianti fino a dicembre", le parole di Mancini a corredo della vittoria "inutile" contro la Turchia.
La botta presa è stata fortissima ma è rimasto in piedi: per il contratto rinnovato fino al 2026 un anno fa; perché la sua permanenza è stata caldeggiata dal presidente federale, Gravina (contro il quale spirano i venti di guerra dei club bellicosi); perché diverso il rapporto tra allenatore e squadra (la frattura prima della sfida con la Svezia nel 2017 è molto più di un'indiscrezione scivolata da dietro le quinte); perché almeno nei suoi confronti i media sono stati indulgenti in virtù di quel bonus di fiducia accumulato in Inghilterra e bruciato in pochi mesi.
"È da più di quattro anni che mi porto un dolore dentro". Attacca così Ventura che sembra poter mettere le cose a posto e il cuore (finalmente) in pace. "E questo dolore giovedì, con la sconfitta dell’Italia con la Macedonia, è tornato intenso come quattro anni fa. In tutto questo tempo ho riflettuto molto e parlato poco. Ho ascoltato, però. Io ho subito una lapidazione".
Lui come Mancini non rassegnò le dimissioni. L'unico ad averlo fatto dopo un flop Mondiale fu Cesare Prandelli, che annunciò l'addio all'incarico subito dopo l'eliminazione dell'Italia ai gironi di Brasile 2014. "A me hanno detto di tutto – aggiunge Ventura – anche che sono rimasto perché volevo rubare uno stipendio. Ho sempre riconosciuto la mia colpa per quell’esclusione, ma ci sono state anche altre responsabilità. È quello che la stampa oggi dice a una sola voce per difendere l’allenatore. Ed è vero".
I colpevoli? Più di uno. Ventura lo dice fuori dai denti ricordando che almeno lui era uscito contro Spagna e Svezia, citando a memoria le stesse questioni che sono sul tavolo da anni e rimaste lettera morta: stadi vecchi, soldi in bilancio che mancano, niente giovani campioni, proliferazione degli stranieri col conseguente impoverimento della Nazionale. "Non è stata una sconfitta della squadra, ma un problema di sistema. E io sono d’accordo. È lo stesso sistema di quattro anni fa, che la vittoria all’Europeo ha solo mascherato. Un sistema in ritardo, senza visione, che ci ha portato a uscire al primo turno ai mondiali del 2010 e del 2014. E che ci impone di ragionare su queste sconfitte che sembrano arrivare immeritatamente, all’improvviso, ma che hanno radici più profonde".
Nulla è cambiato a testimonianza che c'era dell'altro. "Questi problemi c’erano anche quattro anni fa e la mia sconfitta, purtroppo, non è servita a cambiare nulla – ha concluso Ventura -. Dissero che era stata solo colpa mia, e mi sono fatto da parte. Sono contento che Mancini resti ma è chiaro a tutti che la colpa è del sistema".