La ragazza che denunciò Portanova per stupro: “Vogliono farmi passare per una poco di buono”
"Ricordo di aver abbracciato mio cugino per primo e di avergli detto: mi fa male tutto". Una lettera scritta e indirizzata al quotidiano La Nazione. La studentessa di 22 anni, che nella notte tra il 30 e il 31 maggio di due anni fa venne stuprata in un appartamento nei prezzi di Piazza del Campo, ha messo nero su bianco per descrivere silenzi troppo duri da raccontare, per provare a spiegare qual è lo stato d'animo attuale e come si sente oggi, per biasimare quel clima di sospetto che qualcuno ha alimentato intorno a lei per "metterla in cattiva luce" e farla passare per "una poca di buono".
La ragazza denunciò lo stupro per il quale a dicembre scorso il calciatore del Genoa, Manolo Portanova, e lo zio Alessio Langella, sono stati condannati con rito abbreviato a 6 anni di carcere per i reati di violenza sessuale di gruppo e lesioni dolose. Una terza persona, Alessandro Cappiello (25 anni), è stata rinviata a giudizio e si procede rito ordinario. La posizione di una quarta, all'epoca dei fatti minorenne, è finita nell'inchiesta condotta dalla Procura dei minori di Firenze.
Negli ultimi anni ho scoperto di avere tanti nomignoli – si legge nell'incipit del documento -: Chiara, Sara, Claudia, Marta, ‘quella di Portanova’, ‘sicuramente una poco di buono’, ‘la stuprata’ e chi più ne ha più ne metta. Ho scelto di scrivere, sapete, non è mai facile esprimere se stessi e il proprio dolore quando si è in mezzo ad una burrasca giudiziaria. Tutto può essere preso di mira, tutto può essere visto da qualcuno come un piccolo enorme dettaglio per puntarmi il dito contro. Ma sono qua oggi, per rispondere ad una conferenza stampa da poco tenuta, per rispondere a chi potrebbe credere più alle parole di qualcuno rispetto all’esito di un primo grado di giudizio.
A chi e cosa deve rispondere? Perché sente di doverlo fare al netto della sentenza di condanna? Il ricorso che sarà presentato in appello contro il verdetto e quel "soffro per quello che sta accadendo e sto sentendo, questa vicenda non è solo giudiziaria ma anche mediatica" pronunciato dal giocatore in conferenza dopo aver ascoltato la sentenza afflittiva la spingono a liberarsi di tutto.
Perché rispondere? Perché oltre a quello che ho dovuto subire nella notte tra il 30 e il 31 maggio 2021, mi ritrovo oggi di fronte a qualcuno che tenta di affossare la mia persona e di mettermi in cattiva luce. Purtroppo oltre al tribunale giudiziario ne esiste anche uno mediatico e sociale, molto crudele, del quale con sincerità posso affermare che siamo vittime tutti. Non sono stata io a voler dare clamore a questa orribile vicenda. “Ti sei scelta bene i cavalli da giocare”, dice qualcuno – ha aggiunto – Se solo sapeste quanto sia stato difficile per me riuscire anche solo a denunciare.
Il concetto espresso nell'ultima frase raccoglie il profondo disagio emotivo di ha visto la propria vita sconvolta, l'anima strappata e accartocciata. Di chi si sente morto dentro perché sa già a cosa andrà incontro.
Denunciare una violenza sessuale significava dover affrontare anni di svalutazioni, di insulti, anni in cui avreste provato a dire che era un gioco e che ero d’accordo. Denunciare significava affrontare processi, udienze, dover leggere articoli su articoli di giornale, dover affrontare le calunnie più malvagie.
Non ci sono parole, si può solo empatizzare nel leggere un altro passaggio molto toccante della lettera. Questa volta la ragazza, la "vittima trattata come un oggetto" (come indicato nelle motivazioni della sentenza), accende i riflettori sul momento di grande difficoltà, disagio attraversato nei giorni immediatamente successivi alla violenza subita.
Ho desiderato spegnermi. Mi sono chiusa in un guscio di silenzio e freddezza, nessuno doveva chiedere, nessuno doveva sfiorarmi… Ricordo di aver abbracciato mio cugino per primo e di avergli detto: mi fa male tutto. Cerco di riprendere in mano la mia vita giorno per giorno e andare avanti.