La Procura: “Maradona morto per grave negligenza medica”. Il documento sulle dimissioni
Maradona non doveva tornare a casa dopo l'operazione alla testa subita per la rimozione di un edema subdurale. L'ex Pibe de Oro poteva lasciare la clinica ma con la formula delle ‘dimissioni protette' che avrebbero comportato il trasferimento in un centro specializzato per proseguire la degenza e le terapie riabilitative previste per un soggetto nelle sue condizioni. D10s non aveva bisogno solo di riprendersi da un intervento ma necessitava di un trattamento medico/psichiatrico e di un'assistenza particolare.
Le dimissioni: doveva andare in una clinica specializzata non a casa
Ecco perché la lettera dimissioni che risale al 3 novembre, firmata dal neurochirgurgo Lepoldo Luque, e dalle due figlie di Maradona – Gianinna e Jana – e del direttore medico della struttura, Pablo Dimitroff, ha alimentato la convinzione negli inquirenti che nei suoi confronti ci sia stata grave incuria. Lo ribadisce una fonte molto vicina ai magistrati quando rimarca "l'assenza di un cardiologo in casa" e contestualmente "nessun sistema di controllo del paziente".
Maradona abbandonato a se stesso
In buona sostanza Diego era stato ‘abbandonato a se stesso', è la tesi prevalente e fa leva sui medici che più da vicino hanno seguito l'ex Pibe de oro. A loro spettava il compito di prendersi cura del paziente nel periodo di degenza e riabilitazione domiciliare ma non lo avrebbero fatto a dovere: il neurochirurgo, Leopoldo Luque, e la psichiatra, Agustina Cosachov. Entrambi, in base alle prime deduzioni degli inquirenti, sarebbero i responsabili diretti della negligenza e della mancata assistenza nelle quali versava D10s. Il primo, nonostante godesse della fiducia assoluta da parte dell'ex campione, non lo avrebbe nemmeno operato personalmente per asportare quel grumo di sangue alla regione sinistra della testa.
Gli inquirenti sono certi: c'è stata grave negligenza
La linea d'azione è stata tracciata dal procuratore generale di San Isidro, John Broyad, assieme ai collaboratori Cosme Iribarren, Patricio Ferrari e Laura Capra: in quella casa presa in affitto nel quartiere di San Andrés, per nulla attrezzata per accogliere una persona nelle sue condizioni, nessuno aveva il controllo della situazione né della persona. Ecco perché, secondo fonti molto vicine al pool di magistrati che ha preso il caso in incarico, "siamo di fronte alla possibilità che sia stato commesso un crimine, di fronte a un caso di morte ingiusta".
Le ipotesi di reato prefigurate dalla Procura
Omicidio colposo e abbandono di persona sono i capi d'imputazione prefigurati ma siamo solo all'inizio del filone che potrebbe sfociare in un processo. Il pool di magistrati che si sta occupando della vicenda attende i risultati dei test effettuati dopo l'autopsia, quegli esami tossicologici e istopatologici che – valutati da una commissione medica di professionisti – diranno se c'è stata o meno negligenza nelle cure somministrate a Maradona.
Quali condanne rischiano i medici coinvolti
Un fattore chiave che – come indicato in un articolo del quotidiano La Nacion – richiama l'articolo 84 del codice penale con pena da 1 a 5 anni di reclusione per coloro che, per imprudenza, negligenza o mancanza di abilità professionale, provocano la morte di una persona. Ma la pena potrebbe essere anche più severa qualora emergessero aggravanti. Ecco cosa rischiano i due principali protagonisti dell'inchiesta sulla morte di Maradona.