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La Palestina in Coppa d’Asia è un miracolo sportivo: storia di un gruppo che non ha notizie da casa

Con la qualificazione agli ottavi di finale di Coppa d’Asia la Palestina ha centrato un traguardo storico: viaggio nel cuore della nazionale che in Qatar lancia il messaggio di pace del suo popolo.
A cura di Ada Cotugno
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Per la Palestina la Coppa d'Asia è molto più che calcio. È un'occasione di riscatto, una possibilità di far sentire la sua voce a tutto il mondo e trasmettere speranza a un popolo afflitto da grandi sofferenze. Per la prima volta nella sua storia la nazionale disputerà gli ottavi di finale della competizione. La grande impresa è stata raggiunta dopo l'ultima partita della fase a gironi, vinta per 3-0 contro Hong Kong: la vittoria ha permesso alla nazionale di qualificarsi come miglior terza e continuare il suo cammino.

Il grande sogno è quello di emulare le gesta dell'Iraq che nel 2007, mentre la nazione era sconquassata dalla guerra, vinse il torneo battendo in finale l'Arabia Saudita per 1-0. Il racconto dei protagonisti della Palestina mette i brividi: non hanno un centro sportivo, non ricevono notizie dalle proprie famiglie e i giocatori non tornano in patria da oltre tre mesi.

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Da Gaza alla Coppa d'Asia, l'avventura della Palestina

Il calcio in Palestina è arrivato per la prima volta nel 1928. Nel 1948, anno della fondazione dello Stato d'Israele, l‘istituzione calcistica palestinese è stata inglobata dalla Federcalcio israeliana. Soltanto nel 1962 è nata ufficialmente la Federcalcio palestinese ma verrà riconosciuta dalla FIFA soltanto nel 1998: è stato uno dei primi atti di Sepp Blatter come presidente, con la visita a Rafah che ha segnato una svolta storica.

La prima qualificazione alla Coppa d'Asia è arrivata nel 2014: nell'edizione 2015 sono finiti ultimi nel girone, mentre nel 2019 sono stati eliminati dopo il terzo posto ottenuto nella fase a gironi. Quest'anno in Qatar sono riusciti a qualificarsi agli ottavi di finale come migliore terza con 4 punti nel gruppo, frutto della sconfitta contro l'Iran, del pareggio contro gli Emirati Arabi e della vittoria per 3-0 contro Hong Kong, fanalino di coda di tutta la competizione.

Dal 2021 la squadra è gestita da Markam Daboub, un allenatore tunisino. A questo torneo partecipano 26 giocatori provenienti da diversi campionati: 10 giocano nei territori palestinesi, 10 all'estero tra Indonesia, Thailandia, Cile, Belgio e Svizzera, 3 in Israele e 3 sono addirittura senza squadra.

Markam Daboub, il commissario tecnico della Palestina
Markam Daboub, il commissario tecnico della Palestina

Prima dell'attacco di Hamas l'allenatore poteva entrare in Cisgiordania, ma non gli è mai stato permesso di mettere piede a Gaza per guardare dal vivo le partite o incontrare i giocatori che si trovavano in quei territori. Per le qualificazioni alla Coppa del Mondo che si sono tenute a novembre i convocati da Gaza non sono stati in grado di raggiungere la nazionale.

Nella Palestina che ha preso parte a questa Coppa d'Asia giocano soltanto due giocatori della Striscia di Gaza, il difensore Mohamed Saleh e l'attaccante Mahmoud Wadi. Gli è stato possibile soltanto perché attualmente giocano in club egiziani. La storia di Wadi è davvero particolare: nel 2018 il giocatore era rimasto intrappolato a Gaza, con le autorità che gli avevano rifiutato il permesso di entrare in Cisgiordania per riunirsi alla squadra dove era tesserato. Per questo motivo ha deciso di firmare per il Pyramids FC in Egitto per la cifra record di 1.1 milioni di dollari che lo ha trasformato nel giocatore più costoso della Palestina.

Il difensore della Palestina Mohamed Saleh
Il difensore della Palestina Mohamed Saleh

I due giocatori ogni giorno passano ore al telefono per sentire le proprie famiglie che spesso rispondono ai loro messaggi soltanto dopo 10 giorni. Le loro case sono state distrutte dai bombardamenti, alcuni dei loro cari sono morti e tanti altri sono rimasti feriti. Vivono tutti in condizioni difficili e, come ha ammesso l'allenatore, il pensiero dei calciatori va costantemente a loro e aggiunge ulteriore pressione sulle loro spalle.

Dove si allena la nazionale della Palestina

Per circa tre mesi la nazionale della Palestina ha trascorso la maggior parte del tempo insieme. Non come una sorta di ritiro, ma come costrizione: tre settimane dopo l'attacco di Hamas, avvenuto il 7 ottobre, e il successivo bombardamento di Gaza, la squadra palestinese ha lasciato la Cisgiordania via terra per le due partite di qualificazione ai Mondiali contro Libano e Australia. Da allora i giocatori non hanno più potuto fare ritorno a casa, dato che nessuno di loro sapeva se avessero potuto lasciare di nuovo la regione per rispondere alla qualificazione della Coppa d'Asia.

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Dalla metà di novembre i giocatori sono rimasti assieme, osservando da lontano tutto ciò che accadeva alle persone di Gaza. Ovviamente il loro esilio forzato non gli ha permesso di prepararsi al meglio per il torneo. Ma anche all'interno della Striscia di Gaza non ci sono strutture in grado di ospitarli: nel 2011 e nel 2014 Israele ha affermato che i campi da calcio venivano utilizzati dai gruppi armati palestinesi per lanciare razzi e sono quindi diventati obiettivi legittimi.

Tanti impianti sono stati distrutti e alcuni sono stati addirittura occupati. Il mese scorso sono emerse immagini di uno stadio gravemente danneggiato, utilizzato per ospitare centinaia di prigionieri palestinesi, molti dei quali bambini. A denunciarlo è stato il presidente della Federcalcio palestinese Jibril Rajub: "L'occupazione israeliana ha preso di mira gli impianti sportivi e le sedi della federazione. Lo stadio Yarmouk è stato trasformato in un centro di detenzione. Si tratta di una flagrante violazione della Carta Olimpica".

E allora dove si è svolta la preparazione per la coppa d'Asia? "La preparazione è andata bene nonostante le circostanze difficili – ha ammesso il commissario tecnico Daboub – Il 12 dicembre abbiamo cominciato con un primo camp in Algeria, poi ne abbiamo fatto un secondo in Arabia Saudita". Entrambi i camp sono stati finanziati dalle nazioni ospitanti. L'obiettivo principale era quello di consentire ai giocatori di rimettersi in forma: il campionato della Cisgiordania è stato sospeso il 7 ottobre, quando si erano disputate soltanto poche partite, e nessuno sa e quando riprenderà. Anche qualora la situazione fosse sicura non ci sarebbero comunque campi in cui giocare.

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I calciatori uccisi durante il conflitto con Israele

Oltre a questa situazione complicata, la nazionale della Palestina ha dovuto affrontare un'altra tragedia pochi giorni prima dell'inizio della Coppa d'Asia. Hani Al-Masdar, ex giocatore diventato poi allenatore della squadra Under 23, il 6 gennaio è stato ucciso in seguito ad attacchi aerei israeliani su Gaza. Daboub ha raccontato delle difficoltà vissute dopo la sua morte: "Era uno dei più grandi talenti sportivi palestinesi, è una grande perdita. I giocatori più giovani della nazionale lo conoscevano molto bene. Nessuno al mondo vorrebbe trovarsi in questa situazione".

Al-Masdar non è l'unico sportivo rimasto vittima dei bombardamenti israeliani. Si stima che circa 71 giocatori siano scomparsi, oltre a decine di allenatori e dirigenti palestinesi: secondo alcuni il numero potrebbe essere più alto.

Nel 2004 le forze israeliane uccisero il centrocampista Tariq al Quto. Circa cinque anni dopo, tre promettenti giocatori palestinesi Ayman Alkurd, Shadi Sbakhe e Wajeh Moshtaha furono uccisi durante la guerra israeliana a Gaza durante l'"Operazione Piombo Fuso". Nello stesso anno un cecchino israeliano uccise Saji Darwish, un diciottenne destinato a diventare uno dei grandi protagonisti a livello internazionale per la Palestina.

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Nel 2014 un attacco aereo israeliano ha ucciso il calciatore palestinese Ahed Zaqout mentre nello stesso anno i giovani giocatori Jawhar Nasser Jawhar e Adam Abd Al Raouf Halabiya sono stati deliberatamente colpiti ai piedi. L'incidente è avvenuto dopo una sessione di allenamento, mentre i giocatori stavano tentando di attraversare un posto di blocco militare israeliano nella Cisgiordania occupata.

A aggiungersi alla lista c'è anche la tragedia che ha colpito Wadi: dopo l'ultimo allenamento della Palestina prima della partita contro l'Iran, la gara d'esordio in Coppa d'Asia,  il giocatore ha appreso che suo cugino era stato ucciso a Gaza.

Le speranze dei palestinesi

Ed è anche per questo motivo che la qualificazione agli ottavi di finale assume un significato completamente diverso, che va oltre i confini dello sport. Ramu Hamadi, il portiere della Palestina, è nato in Israele e ha fatto la storia diventando il primo giocatore della Premier League israeliana a giocare per la Palestina.

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Prima della competizione al giocatore sono stati affidati i messaggi di speranza di centinaia di palestinesi provenienti da tutto il mondo. "Devi fare bene per la nostra gente. Devi portare il messaggio a tutto il mondo. Invia il nostro dolore a tutto il mondo". A stringergli il cuore sono soprattutto i messaggi dei bambini, come ha confessato ad Al Jazeera: "Mi scrivono ‘Per favore rendimi felice'. Darò il milione per cento, non il cento per cento, per rendere felici quei bambini".

Ai giocatori sono affidati i messaggi di speranza di tutta la popolazione che sogna un riscatto attraverso il calcio: sventolare la bandiera, sostenendo il proprio Paese sugli spalti, gli permette di far sentire la loro voce su uno dei palcoscenici più importanti al mondo che diventa eco delle loro sofferenze.

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