La lezione di Panatta: “La finale di Conference League è un onore non la coppa del nonno”
"Coppa del nonno… li sento, lo so bene quello che dicono". La Roma gioca questa sera la finale di Conference League contro il Feyenoord e l'ex campione di tennis, Adriano Panatta, da uomo di sport, non ha alcun timore di criticare quelli che tendono a sminuire il traguardo raggiunto dalla squadra di José Mourinho. Può sollevare un trofeo he non è solo un successo sportivo ma anche un primo passo in un percorso di crescita. Può vincere e consegnare all'Italia un titolo in Europa.
L'ultima volta è accaduta 12 anni fa e, ironia della sorte, tra i protagonisti di allora c'era ancora lui, il manager portoghese, lo special one, l'artefice del triplete interista rimasto scolpito nella storia del club nerazzurro e del calcio continentale. Un decennio e passa di digiuno assoluto nelle Coppe per i club italiani, anche di più per i capitolini: serve andare indietro nel tempo di 60 anni, alla Coppa delle Fiere, per trovare un successo dei giallorossi al di là delle Alpi.
La sfida contro gli olandesi è l'occasione per spezzare questo incantesimo che porta ancora le fattezze del Liverpool (ko ai rigori in finale di Coppa dei Campioni) e dell'Inter (2-0, 1-0 nel doppio confronto contro i nerazzurri del Trap). "Li sento, lo so bene quello che dicono – dice Panatta nell'intervento su Tuttosport –. E allora? Noi la vinciamo lo stesso. Questa Coppa ci è stata data e questa l’abbiamo giocata fino all’ultimo. No, questa non la gioco, non mi si addice, non fa pendant con i colori della maglietta… Lo sport non è solo lo scudetto, e non soltanto la coppa dalle grandi orecchie a sventola. Lo sport è misurarsi con quello che si ha per migliorare un domani".
La sindrome della ‘coppetta' è quella che quando la vinci ci prendi gusto e se non ci riesci (o non arrivi nemmeno in finale) la disprezzi. La lezione di lealtà e di sport Panatta è anche questa: una mentalità vincente non si crea (solo) investendo tanti soldi ma accettando la competizione, qualunque essa sia, nel bene e nel male, dando tutto sul campo, onorando ogni impegno con determinazione e professionalità. "Che si chiami Coppa dello Zio, del Cugino, del Nonno o della Suocera non cambia assolutamente nulla – è un altro passaggio chiave dell'ex azzurro del tennis -. Per amore dello sport. Perché se così non fosse, addio…". E poi c'è Mourinho che è garanzia di tutto questo. "È un guru autentico, uno che ha risposte da dare. Ci sa fare ed è stato bravo a entrare nel cuore dei tifosi".