La frase di Mancini che ha gelato Gravina: “La notte mi porterà consiglio”. Poi la pec con le dimissioni
Le dimissioni di Roberto Mancini da commissario tecnico dell'Italia. Il presidente della Federazione, Gabriele Gravina, proprio non se le aspettava. È come trovarsi sotto un temporale improvviso di metà estate senza trovare riparo: resti bagnato fradicio.
Per lui non c'è gran quiete marina che tenga, il destino vuole che baleni in burrasca: il caso Juve (risolto con un patteggiamento), la questione dei diritti tv al ribasso per una Serie A con l'acqua alla gola, la Serie B che è diventata un caos per quel pasticcio brutto dei ricorsi, il veleno che ha accompagnato l'addio di Milena Bertolini, l'Italia femminile che dopo il fallimento ai Mondiali ha lavato i panni sporchi in pubblica piazza social, adesso pure il malessere e il tanti saluti di ‘Mancio'. È deflagrato a un mese da gare importanti per la Nazionale che rischia perfino di restar fuori dai prossimi Europei in Germania (2024). Altro brutto presentimento.
Proprio non pensava che il ct avrebbe mollato tutto e tutti così, di punto in bianco, dopo aver programmato assieme la struttura della ‘nuova' Nazionale, quel progetto tecnico che metteva di fatto il movimento azzurro nelle mani del ct, dalla squadra maggiore fino all'Under 21 e Under 20. Poi è arrivata una telefonata strana, particolare, sibillina e quella sensazione che aveva dentro di sé, quella vocina che gli martellava l'anima e ronzava in testa (perché certe cose si sanno e si sentono prima), sono diventate via via preoccupazione, ansia, certezza, nuvoloni neri all'orizzonte.
Una chiacchierata con la moglie di Roberto Mancini (Silvia Fortini, avvocato – ne dà menzione il Corriere della Sera) ha spalancato dinanzi agli occhi del presidente federale scenari esiziali, da perdere il sonno. È venerdì. Ferragosto si avvicina. Manca una settimana all'inizio del campionato. Le squadre chiudono ritiri e amichevoli. Tutto fila liscio, almeno così sembra. Cosa vuoi che accada?
Il telefono squilla, dall'altro capo del filo c'è la donna che gli parla di un po' di cose. Gli preannuncia nulla di buono. Avverte, chiarisce, le spiegazioni che dà fanno giri immensi e poi tornano al nocciolo della questione: Mancini vuole andarsene, medita di farlo. Gravina si confronta con lui, parlano a lungo: se una telefonata ti allunga la vita, quella con l'ex ct non è bastata a fargli cambiare idea né a spazzare via tutti quei dubbi che – dicono voci di dentro – erano divenuti pesi sullo stomaco e magone (anche) per certe nomine poco gradite (Buffon a capo della delegazione azzurra) o altre ventilate (l'inserimento di Bonucci nello staff).
Il presidente media, smussa, rassicura ma percepisce che le sue parole non sono servite quando, al temine del colloquio, Mancini si lascia sfuggire questa frase di commiato: "Grazie presidente, ci dormo sopra e la notte mi porterà consiglio". In buona sostanza, gli aveva detto che ancora non era convinto di proseguire la sua esperienza. Avrebbe dovuto sciogliere le riserve lì, in quel momento. Aveva solo rimandato la decisione che avrebbe comunicato con una mail, a mezzo pec.
Dove andrà, sarà affar suo: sia la ricca e munificente Arabia Saudita, che sembra avergli proposto la panchina della nazionale, sia qualche altra esperienza in Italia (la Roma, qualora anche in Mou esplodesse quel conflitto esistenziale di cui ha parlato nei giorni scorsi, sia quel che sia la realtà è che l'addio di Mancio è stato uno scrocio acqua gelata d'una tempesta d'estate. E tutto il resto è affar nostro.