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Opinioni

La dimenticabile Supercoppa in Arabia è la triste fine del calcio italiano che svende se stesso

Il trofeo disputato a Riyad ha messo in evidenza tutta l’ipocrisia del nostro calcio che commemora Riva e giustifica i fischi di un Paese che non sa niente di calcio (ma ha i soldi per comprarlo), soffoca la libertà di espressione e sorride di fronte all’accusa di violare i diritti umani. Te lo vendo, e già. A buon prezzo, si sa.
A cura di Maurizio De Santis
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La foto di Gigi Riva comparsa sul maxi-schermo dello stadio di Riyad durante il minuto di raccoglimento in Supercoppa.
La foto di Gigi Riva comparsa sul maxi-schermo dello stadio di Riyad durante il minuto di raccoglimento in Supercoppa.

I fischi a Gigi Riva nel minuto di silenzio proferiti da spettatori che non sanno niente di calcio, a corredo di una partita giocata in uno stadio di plastica solo perché lì ci sono un po' di soldi da mungere. È la sintesi perfetta di ciò che è stata questa ‘dimenticabile' edizione della Supercoppa italiana in Arabia Saudita. Una vergogna del genere era capitata anche in occasione della commemorazione di Franz Beckenbauer perché – secondo la versione ufficiale della Lega Serie A – quella forma di raccoglimento nella cultura araba non è contemplata. E a giudicare dalla reazione insofferente a quell'istante di silenzio, che non è solo un omaggio allo sportivo ma anche umano rispetto e condivisione di dolore, è nient'altro che un inutile fastidio. Per loro.

È sufficiente questo aspetto per spiegare cosa siamo diventati e quale direzione ha preso questo calcio che è l'esatto opposto di ciò che Rombo di Tuono (e con lui anche il Kaiser) ha rappresentato. Il miglior marcatore di sempre della Nazionale, il più forte attaccante (e giocatore) italiano della storia, l'uomo che ha preso la leggenda e l'ha scolpita a mani nude in quell'epico 4-3 con la Germania, che disse no al denaro offertogli dallo strapotere dei club del Nord per non svendere l'amore e il legame con la sua terra a beneficio della fama, è stato salutato nel giorno della sua morte in maniera frettolosa, in un Paese che ignora cosa siano i diritti civili, soffoca la libertà di espressione e sorride di fronte all'accusa di violare i diritti umani.

Però ha tanti soldi e s'è comprato anche l'anima e la storia (che è fatta dal sudore e dal sangue degli uomini), da mano a chi gli ha venduto qualcosa che non ha ritenuto così prezioso. Salvo accorgersi di aver fatto la figura dello sprovveduto che si lascia soffiare il giocattolo e lo spaccia anche per un ottimo affare. Mettiamoci dentro anche i vuoti di pubblico, il trofeo che i calciatori dell'Inter lasciano in mano ai tifosi, Mazzarri furibondo che diserta la premiazione e il quadro è quasi completo.

L'Al-Awwal Stadium di Riyadh ha ospitato la finale tra Napoli e Inter.
L'Al-Awwal Stadium di Riyadh ha ospitato la finale tra Napoli e Inter.

La Supercoppa italiana in terra saudita, il modo in cui è stata concepita e organizzata in spregio anche alla regolarità dei campionati nazionali e alla passione dei tifosi, e nemmeno si sa che futuro avrà mai al cospetto dei nuovi format di Champions League e Mondiale per club che fagociteranno il calendario, è nient'altro che la riprova di tutta questa ipocrita manifestazione sportiva di mero interesse finanziario.

La caratterizza bene (anche) il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, che dopo essersi cimentato nel ruolo di direttore generale e sportivo/team manager/allenatore della sua squadra adesso si pone anche quale raffinato analista internazionale che ragiona sulla "straordinaria democratizzazione dell’Arabia Saudita", si esalta e s'ingolosisce dinanzi alle "centomila gru che hanno per costruire un nuovo Paese", svilisce il trofeo e poi getta la maschera esprimendosi con il peggiore dei luoghi comuni descrivendo gli arabi "come molto furbi perché usano il calcio come specchietto per le allodole, un grande spot per i Mondiali". Te lo vendo, e già. A buon prezzo, si sa.

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Da venticinque anni nel mondo dell’informazione. Ho iniziato alla vecchia maniera, partendo da zero, in redazioni che erano palestre di vita e di professione. Sono professionista dal 2002. L’esperienza mi ha portato dalla carta stampata fino all’editoria online, e in particolare a Fanpage.it che è sempre stato molto più di un giornale e per il quale lavoro da novembre 2012. È una porta verso una nuova dimensione del racconto giornalistico e della comunicazione: l’ho aperta e ci sono entrato riqualificandomi. Perché nella vita non si smette mai di imparare. Lo sport è la mia area di riferimento dal punto di vista professionale.
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