Eliminato dalla Coppa Italia dopo aver perso a San Siro (1-0) e pareggiato a Napoli (1-1). Fuori dalla Champions ai gironi. Fuori (o quasi) dalla corsa scudetto dopo il pareggio (3-3) col Sassuolo e con il fiato sul collo dell'Atalanta in classifica. Un ottavo di finale di Europa League ancora tutto da giocare. Vista così, il primo anno di Antonio Conte sulla panchina dell'Inter è un mezzo flop soprattutto in relazione alla campagna acquisti tra agosto e gennaio, all'agio goduto nell'ambiente, allo stipendio percepito, all'appoggio dei media. Furore dialettico a parte, per il tecnico pugliese vale lo stesso metro di giudizio di sempre: i risultati del campo. I numeri non dicono tutto ma raccontano molto sulla relazione aspettative/realtà e hanno un peso specifico differente se analizzati e contestualizzati.
Ecco perché, al netto degli errori di Luciano Spalletti (che per 2 stagioni di fila ha portato in dote qualificazione e soldi della Champions, ovvero ciò che gli era stato chiesto), l'arrivo dell'ex ct della Nazionale in nerazzurro non ha rivoluzionato (ancora) il trend che l'altra metà del cielo di Milano sperava. Gli resta la "Coppa di un dio minore" da vincere e da onorare nell'agosto caldo della Uefa, ed è un traguardo sicuramente alla portata nonostante gli effetti della pandemia. La differenza tra il passato più recente e il presente è sostanziale (la squadra a disposizione del collega toscano non era stata costruita per contendere il titolo ai bianconeri) e annovera una serie di aggravanti "economiche" (a cominciare dalla disponibilità della dirigenza a investire sul mercato).
Antonio Conte ha detto sì per un ingaggio fino al 2022 di circa 11 milioni netti a stagione, cifra che fa di lui il più pagato in Serie A anche rispetto a Maurizio Sarri (5.5 alla Juventus) oppure a Massimiliano Allegri (7.5 milioni), disoccupato di lusso. Spalletti è costato e costa (perché ancora a libro paga) 4.5 milioni ma all'Inter – in particolare nell'ultimo anno del Ma(u)rito furioso – ha dovuto fare fronte al "socialismo" di Wanda Nara; alle lotte intestine tra Icardi e la maggioranza dello spogliatoio che non tollerava più né le sortite critiche in tv della consorte né i suoi atteggiamenti poco da capitano e molto familistici; a un ambiente in fibrillazione sia per il cambio di proprietà sia per il riassetto dirigenziale sia per le voci sul futuro dell'allenatore divenute ingombranti a stagione in corso.
Basta già questo per erodere un po' il bonus di fiducia concesso con merito all'allenatore salentino. In fondo, ha vinto alla prima stagione con il Chelsea in Inghilterra, ha guidato con buoni risultati l'Italia e alla Juventus (Marotta ne sa qualcosa…) ha posto le basi per aprire quel ciclo vincente protrattosi nel tempo. E anche per questo è stato accontentato su quasi tutto: ha avuto Lukaku (il bomber che voleva) in attacco assieme ad Alexis Sanchez (peccato si sia infortunato); in difesa gli è stato concesso un elemento del calibro di Godin (il cui rendimento è stato al di sotto delle attese); a centrocampo ha beneficiato di Barella e Sensi; Brozovic e Candreva sono stati bloccati; a gennaio sono stati innestati nella rosa Eriksen (acquistato a titolo definitivo), Moses e Young (in prestito); è stata mandata via la mela marcia (Icardi) con tutto il pacchetto (compresi Politano, Perisic e Nainggolan) che non rientrava nei programmi.
E se alla Juve arrivare secondi era (ed è) da perdenti, adesso che rischia di chiudere il campionato come Spalletti e con una stagione a "zero tituli" la sua (prima) esperienza da interista è molto vicina a qualcosa di simile a un fallimento. Lo dirà la legge del campo che vale per tutti. Come con Luciano.