La coerenza di Toni Kroos dopo i fischi in Arabia: tutto il Real indossa la stessa maglia tranne lui
Sorriso ironico. Testa alta. Schiena dritta. Toni Kroos ha fatto spallucce ancora una volta dei fischi e dei ‘buuu' di disapprovazione ricevuti dal pubblico arabo quando toccava palla (gli era successo anche nella sfida di semifinale con l'Atletico Madrid), è stato sostituito oppure inquadrato al momento della premiazione.
Il centrocampista tedesco del Real Madrid s'è goduto fino in fondo la vittoria per 4-1 contro il Barcellona, la conquista della Supercoppa spagnola, ha messo al collo la medaglia e sollevato il trofeo nello stadio di Riyadh con orgoglio e coerenza.
La stessa che l'ha spinto a non indossare la maglietta celebrativa che nella parte retrostante aveva il numero 13 e una scritta in arabo. Lui no, non l'ha voluta. Ha tenuto addosso la 8, fedele alla sua identità, alle sue opinioni facendosi scudo dell'umorismo: "Tutto questo è molto divertente", scrisse su X a corredo del derby con i ‘colchoneros' nel quale venne beccato dai tifosi arabi.
La standing ovation riservata a Luka Modric al momento del cambio è la prova tangibile del trattamento che gli è stato riservato. Perché i sauditi ce l'hanno tanto con lui? Le ragioni del dissenso mescolano questioni sportive a ragionamenti che attengono alla sfera sociale e politica del Paese arabo.
"Imbarazzante", così aveva definito la scelta di Gabri Veiga, 21enne talento spagnolo del Celta Vigo che era a un passo dal Napoli ma accettò il ricco trasferimento all'Al-Ahli sacrificando sull'altare dei tanti soldi la possibilità di giocare in un campionato competitivo in Europa, alimentare il proprio bagaglio tecnico, crescere in termini di personalità e di mentalità agonistica. Una scelta incomprensibile e stucchevole per il mediano della Germania soprattutto alla luce della giovanissima età del calciatore.
La reazione a quella riflessione fu devastante e Kroos messo nel mirino della contestazione che rimbalzò da una parte all'altra del mondo social. Ma non si lasciò influenzare. Anzi, rincarò la dose in un'intervista dove criticava apertamente il progetto ambizioso di calcio enunciato dai sauditi.
"La verità è che gira tutto intorno ai soldi – disse a Sports Illustrated -. Chi ha deciso di andare in Arabia ha fatto una scelta contro il calcio che tutti noi conosciamo e amiamo. Peso soprattutto a quei ragazzi che avevano abbastanza talento per giocare in Europa".
Le argomentazioni del centrocampista tedesco toccarono anche un altro aspetto della questione. E fu come gettare benzina sul fuoco. Spostò l'attenzione dalla tentazione di mettere in tasca stipendi da mille e una notte ai diritti umani: "La parte economica non può essere l'unica motivazione per trasferirsi in un determinato Paese" e sottolineò il concetto nella chiosa che fu deflagrante: "I diritti umani fanno tutta la differenza".