Kevin Soni ha visto aprirsi la terra sotto di lui: “Non sapevo cosa ci fosse laggiù, ora l’ho visto”
Ha superato i 20mila morti il terribile bilancio del fortissimo terremoto che tra domenica e lunedì scorsi ha devastato Turchia e Siria. Un conto in vite umane che purtroppo è destinato a salire, visto che sotto le macerie sono sepolte ancora tantissime persone, con le speranze di trovarne qualcuna viva che si affievoliscono col passare dei giorni. Tra coloro ufficialmente dichiarati dispersi, nonostante in un primo momento ne fosse stato comunicato il ritrovamento, c'è ancora Christian Atsu, 31enne centrocampista ghanese rimasto schiacciato dal crollo del residence di lusso dove alloggiava ad Antiochia.
È stato il suo club del massimo campionato turco, l'Hatayspor, a confermare ancora nelle ultime ore che Atsu non si trova e dunque è ancora sepolto sotto il palazzo di 12 piani che è stato raso al suolo, al pari del direttore sportivo della società, Taner Savut. Chi ce l'ha fatta a scampare a un destino di morte che a un certo punto sembrava inevitabile è un compagno di squadra di Atsu, Kevin Soni. La sua testimonianza su quello che è accaduto quella notte dà l'idea di come il cerino che reggiamo lungo il cammino della nostra vita possa spegnersi in un soffio: "È qualcosa che non ti aspetti e che ti segna per tutta la vita – racconta a Foot Mercato – Mi sono detto che era la fine del mondo, punto. Ho visto persone morire accanto a me, sono traumatizzato. Oggi mi rendo conto che la vita è appesa a un filo, è in questi momenti che ci rendiamo conto che tutto è vanità. Ognuno abbandona la propria casa, la propria auto, e cerca un posto dove rifugiarsi".
Il 24enne centrocampista camerunense è all'Hatayspor dall'estate scorsa, in prestito dai greci dell'Asteras Tripolis: "Ero appena rientrato da un infortunio domenica nella partita vinta col Kasimpasa. Dopo la gara sono tornato a casa. Ero seduto con i miei cugini e stavamo giocando alla PlayStation. Verso le 4 o le 5 del mattino la terra ha iniziato a tremare. Ho detto ai miei cugini di calmarsi, ma quando il soffitto e le pareti hanno cominciato a crollarci addosso, abbiamo iniziato a correre per le scale. Abbiamo appena avuto il tempo di prendere i nostri passaporti e i nostri telefoni, non so nemmeno come ho fatto a pensarci. Abbiamo avuto la fortuna di uscire dall'edificio prima che tutto crollasse. Se me l'avessi detto una settimana prima, ti avrei detto che era impossibile…".
Soni spiega che ha pensato di lanciarsi dalla finestra, probabilmente sarebbe andato incontro a morte certa: "È la prima volta che vivo una cosa del genere. All'inizio ho pensato che fuori doveva esserci un forte vento. Ma è stato quando ho visto che i tremori erano davvero potenti e il pavimento ha iniziato a spaccarsi, che ho pensato che fosse davvero grave. All'inizio volevo saltare dalla finestra. Ma eravamo davvero in alto, al settimo piano. Mi sono detto che mi sarei rotto un piede e non avrei più giocato a calcio. Così ho preso le scale e sono corso fuori. Quando vedi persone che muoiono accanto a te, dici a te stesso che sarai il prossimo. L'edificio stava cadendo sopra di noi. Siamo stati davvero fortunati perché siamo usciti un attimo prima che crollasse. Una volta fuori, abbiamo visto l'edificio crollare e trasformarsi in polvere. Non era rimasto niente".
L'incubo non era affatto finito per il nazionale camerunense, che in quel momento ha pensato che la terra lo avrebbe inghiottito nelle sue viscere: "Ho visto il terreno spaccarsi in due, la strada si è divisa in due. Non sapevo cosa ci fosse nelle profondità della terra, quel giorno ho visto cosa c'è laggiù. È tutto nero, non c'è niente laggiù. Non so cosa sia ma è tutto nero. Mi sento un miracolato, per il fatto che in quel momento ero sveglio. Sono musulmano e sono molto religioso. Quello che mi ha salvato è che volevo aspettare fino alle 6:40 per dire la prima preghiera della giornata. Ecco perché non riuscivo a dormire. Se avessi dormito, visto come è caduto tutto in casa, sarei sicuramente morto. Cadevano pietre enormi. Era un edificio di diciassette piani, immaginate".
Per Soni sarà difficile lasciarsi tutto alle spalle, aver visto la morte così vicina: "Francamente è uno shock. Non riesco a dormire. Sono con il mio agente tutti i giorni e ne parliamo sempre. È una sensazione impossibile da spiegare. Mentre ti parlo, seduto a Istanbul, mi sembra che il terreno stia tremando. Ma le persone intorno a me mi dicono di no, non trema. È un trauma. Ora so assaporare i piccoli momenti della vita. Quando ti succede qualcosa del genere, sei costretto a cambiare. Le persone sono morte accanto a te, mentre tu sei stato abbastanza fortunato da sopravvivere. Non vedo più le cose allo stesso modo. Quando ti succede una cosa del genere, dimentichi i tuoi tacchetti, la tua maglia, la tua carriera. Tutto quello che possiedi. Sei tu e solo tu. Non pensi più al calcio. Pensi solo alla famiglia, ai genitori, ai parenti. La prima cosa che dici a te stesso è: vedrò di nuovo la mia famiglia? Quando siamo fuggiti, abbiamo lasciato tutto lì. L'importante era essere sicuri, le cose materiali sono solo vanità".
In quei drammatici momenti c'era l'istinto di sopravvivenza che ti porta a salvare te stesso, ma anche la disperata voglia di cercare di aiutare gli altri: "Quando l'edificio è crollato, abbiamo visto delle persone e abbiamo cercato di salvarle. Quando però metà del loro corpo rimane dall'altra parte e sono morte, è difficile. Abbiamo fatto del nostro meglio. C'erano madri bloccate nelle loro case con i loro figli. Abbiamo provato a togliere i blocchi di pietra e più li toglievamo e più cadevano. Abbiamo provato a salvare bambini, mamme, anziani. Ma non è stato davvero facile. Quelli che siamo riusciti a salvare, è grazie a Dio".
Soni si commuove quando parla di Atsu, teme che non lo rivedrà più: "Mi viene la pelle d'oca a parlarne. Prima che accadesse il terremoto, stavo parlando al telefono con Christian. Aveva segnato una punizione domenica e gli ho detto che aveva giocato bene e che mi era piaciuta la sua partita. Gli ho detto che speravo di trovare rapidamente la condizione in modo da poter giocare assieme a lui. Ma non sapevo che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei parlato con lui. Due ore dopo non ne avevo più notizie. Mi è stato detto che il mio amico poteva essere morto, è abbastanza per farti impazzire. Sono certamente l'ultima persona ad aver parlato con lui al telefono. Spero davvero che lo trovino sano e salvo. Prego per questo ogni giorno".