Juventus e Napoli indenni dal processo plusvalenze: stangata chiesta per Agnelli e De Laurentiis
Stamattina è cominciato a Roma presso il Tribunale Nazionale della FIGC il processo sportivo per la vicenda delle plusvalenze ‘gonfiate' che secondo l'accusa avrebbero consentito a 11 società di calcio di ‘aggiustare' i loro bilanci. Il deferimento aveva raggiunto 5 club di Serie A (Juventus, Napoli, Sampdoria, Genoa ed Empoli), 2 di Serie B (Parma e Pisa), oltre a Pro Vercelli, Pescara, Novara e Chievo.
La richiesta della Procura Federale è stata clemente – come ci si attendeva, Codice di Giustizia Sportiva alla mano – nei confronti di Juve e Napoli, per le quali sono state chieste soltanto due ammende rispettivamente di 800mila e 329mila euro, mentre l'accusa ha chiesto di stangare i dirigenti apicali delle due società: in particolare per i due presidenti, sono stati chiesti 12 mesi di inibizione per Andrea Agnelli e 11 mesi per Aurelio De Laurentiis.
Completano le richieste sul fronte Juve i 16 mesi di inibizione per Fabio Paratici – che nell'impianto accusatorio avrebbe apposto la firma su 32 contratti ritenuti non congrui al valore effettivo dei calciatori – gli 8 per Nedved e Arrivabene, i 6 per Cherubini, mentre dal lato Napoli la Procura ha chiesto 6 mesi per la moglie di De Laurentiis, Jacqueline Baudit, stessa squalifica chiesta per il figlio Edoardo e la figlia Valentina, ed infine 9 mesi per l'Ad partenopeo Chiavelli.
Pene pecuniarie sono state chieste anche per le altre tre società della massima serie che sono a processo: 320mila euro per il Genoa, 195mila per la Sampdoria (con 12 mesi di inibizione per l'ex presidente Massimo Ferrero, che peraltro in questo momento ha ben altri problemi, essendo agli arresti domiciliari con l'accusa di bancarotta fraudolenta), 42mila per l'Empoli (con 22 mesi di squalifica per il presidente Fabrizio Corsi).
Non ci si aspettava nulla di diverso nel filone sportivo dell'inchiesta, che dal lato penale vede parallelamente indagata la Juventus a Torino. Ai 5 club di Serie A, infatti, è contestato soltanto il Comma 1 dell'Articolo 31: "Costituisce illecito amministrativo la mancata produzione, l’alterazione o la falsificazione materiale o ideologica, anche parziale, dei documenti richiesti dagli organi di giustizia sportiva, dalla Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio Professionistiche (COVISOC) e dagli altri organi di controllo della Federazione nonché dagli organismi competenti in relazione al rilascio delle licenze UEFA e FIGC, ovvero il fornire informazioni mendaci, reticenti o parziali. Costituiscono altresì illecito amministrativo i comportamenti comunque diretti a eludere la normativa federale in materia gestionale ed economica nonché la mancata esecuzione delle decisioni degli organi federali competenti in materia". Una fattispecie per cui il Codice prevede appunto soltanto "la sanzione dell’ammenda con diffida".
Ben diverso alla vigilia del processo era lo scenario per le due società di Serie B, Parma e Pisa, per le quali nel deferimento era contestata invece la violazione del Comma 2 del medesimo Articolo 31, in quanto "società che, mediante falsificazione dei propri documenti contabili o amministrativi ovvero mediante qualsiasi altra attività illecita o elusiva, tenta di ottenere od ottenga l'iscrizione a una competizione cui non avrebbe potuto essere ammessa sulla base delle disposizioni vigenti". La sanzione in questo caso poteva essere ben più pesante, dalla penalizzazione alla retrocessione, ed invece entrambi i club si sono salvati: anche per Pisa e Parma, infatti, la Procura federale ha chiesto soltanto una pena pecuniaria, rispettivamente 338mila e 90mila euro.
A completare il quadro delle richieste dell'accusa davanti al Tribunale Federale ci sono i 125mila euro di multa chiesti per il Pescara, i 23mila per la Pro Vercelli, gli 8mila per il Novara e i 3mila per il Chievo.