Julio Cruz a Fanpage: “Mai avuto dubbi sull’Inter, di Calciopoli ricordo situazioni sleali”
Sei stagioni in nerazzurro tracciano il timbro più vistoso sul passaporto di calciatore di Julio Ricardo Cruz, che si sente ancora molto legato all'Inter nonostante in Italia abbia giocato anche con Bologna e Lazio. Il Jardinero, adesso a Buenos Aires, segue l'inizio della carriera dell'omonimo figlio, che a 22 anni sta seguendo i suoi passi al Banfield, squadra argentina nella quale egli stesso debuttò quasi trent'anni fa. Autore di tanti gol importanti in nerazzurro, specialmente alla Juventus, Cruz è rimasto impressionato dall'Inter che ha sfiorato l'impresa contro il Liverpool e pensa un gran bene del suo connazionale Lautaro Martinez, che recentemente si è sbloccato.
Come vive il calcio oggi Julio Cruz?
"Sono a Buenos Aires, e oltre ad avere un'azienda propria mi occupo di seguire e consigliare al meglio mio figlio, Juan Manuel, attualmente al Banfield".
La squadra nella quale ha debuttato anche lei.
"Esatto. Però non mi sento il suo rappresentante nello stretto senso del termine. Preferisco stargli vicino come padre e come ex calciatore. Lui, del resto, è attaccante come me, e chi meglio di me può dargli una mano da questo punto di vista?
Rivede qualcosa di sé stesso in suo figlio ventiduenne?
"Per me lui è più tecnico ed ha più fisico. È anche vero, però, che nella sua evoluzione è stato fermato da questi due anni di pandemia, qualcosa di mai visto nella formazione di un giovane calciatore. Però negli ultimi mesi ha avuto uno sviluppo importante e lo sta dimostrando da titolare al Banfield".
Vent'anni fa lei iniziava la sua carriera proprio lì, nel club bianco verde della periferia sud di Buenos Aires.
"Sono le coincidenze della vita. In realtà per me il Banfield è una famiglia. Ho debuttato lì, ma non solo. È lì che ho conosciuto mia moglie, che giocava a tennis, e oggi nostro figlio fa parte del club. Una storia unica."
Fu sempre lì che le diedero il soprannome di ‘Jardinero'. Da dove viene?
"Quando ero alle prime armi, durante gli allenamenti mi piaceva ogni tanto giocare con le tosaerba lasciate a bordo campo. Un giorno, quando segnai contro il Boca da perfetto sconosciuto, tutti iniziarono a chiedere di me. E uno che seguiva il Banfield rispose: ‘È quello che taglia l'erba, il jardinero'. E da lì è rimasto".
Dal Banfield passò al River, dove visse una grande stagione che le permise di oltrepassare l'oceano per andare al Feyenoord.
"Quell'anno al River vincemmo sia il campionato di clausura sia quello di apertura. Poi mi venne a cercare il Feyenoord, che allora giocava in Champions League. Da quel momento iniziai a migliorare costantemente a livello tecnico, anche se è stato in Italia dove ho fatto il salto di qualità dal punto di vista tecnico e soprattutto tattico".
Al Feyenoord, inoltre, aveva già sviluppato un certo tipo di ‘avversione' alla Juve, alla quale inflisse una doppietta in Champions e che poi avrebbe punito varie volte in Italia.
(Ride). "In realtà non dimenticherò mai il primo gol segnato alla Juve proprio con la maglia del Feyenoord in Champions. Era una Juve fortissima e noi vincemmo 2-0, ma quel primo gol fu spettacolare perché si trattò di una giocata molto rapida nella quale mi feci spazio e riuscì a battere Peruzzi, uno dei migliori portieri in quel momento".
Poi con l'Inter i bianconeri divennero la sua vittima preferita…
"Non dimenticherò mai il gol segnato su punizione a Buffon in un Juve-Inter 1-3. Venivamo da una settimana difficilissima nella quale era stato appena esonerato Hector Cuper per far posto a Zaccheroni. Nessuno pensava che potessimo farcela, e invece dopo dieci anni l'Inter trionfò a Torino con la Juve. Fu un successo storico".
In quella partita lei segnò una doppietta, ma fu con quella punizione che sbloccò il risultato.
"In realtà non era la prima volta che mi riusciva un gol del genere, ma in quell'Inter c'erano fior di tiratori. In quell'occasione pensai ‘tocca a me'. Andai molto convinto di me stesso, e la misi all'incrocio. Fu fantastico segnare e finire con una vittoria inaspettata quella settimana così turbolenta".
Erano già gli anni di Calciopoli. Sentiva in qualche modo la presenza di qualcosa di torbido nell'aria?
"Sarei bugiardo a dirti che sentivo qualcosa di strano, ma è anche vero che gli uomini possono sbagliare. È altrettanto vero, però, che ho vissuto alcune situazioni che mi sono parse in qualche modo sleali. Ricordo una partita col Bologna contro la Juventus nella quale avevo segnato il gol dell'1-0 e poi avevamo raddoppiato. La Juve accorciò le distanze nei minuti finali e diedero sei minuti di recupero, qualcosa d'impensabile all'epoca. E al 95esimo fu proprio Camoranesi a pareggiare. Mi rimase la sensazione che qualcosa di strano stesse succedendo".
A fine partita parlò dell'accaduto con il suo compatriota Camoranesi?
"No, non era una persona di molte parole e non abbiamo mai avuto una relazione fluida".
Lei arrivò all'Inter proprio la stagione dopo quell'incriminato Bologna-Juve. Fu un salto in avanti importante.
"E pensa che in quel periodo c'era addirittura chi dubitava di andare all'Inter! Erano anni che i nerazzurri non vincevano nulla e all'Inter era stata affibbiata l'etichetta scomoda di squadra sfigata. Il famoso 5 maggio 2002 aveva lasciato strascichi, Ronaldo era andato via e poco prima del mio arrivo erano partiti anche Crespo e Batistuta. Ma per me si trattava di una grandissima sfida".
Il numero 9 sulle spalle fu un peso?
"Assolutamente no, era libero e io lo presi. Non ci pensai neanche un momento".
Quale fu la prima grande gioia in nerazzurro?
"Il gol contro l'Arsenal ad Highbury, quando vincemmo 3-0. Segnai la prima rete e fu importante non solo per indirizzare bene la partita ma anche per rompere il ghiaccio con la tifoseria, che vide di che pasta ero fatto e da quel momento in poi mi dimostrò tantissimo affetto. Erano partiti Ronaldo e Crespo, ora toccava a Cruz. E io ero lì".
Lei visse anche la rinascita dell'Inter.
"L'arrivo di Roberto Mancini fu importantissimo. Il suo lavoro fu grandioso e la Coppa Italia vinta nel 2004-05 rappresentò non solo una grande soddisfazione ma anche un punto di partenza. Mancini trasformò la squadra in tutti i sensi, portando mentalità vincente".
Lei giocò in nerazzurro fino alla stagione prima del triplete. Ha un po' di rimpianti di non aver fatto parte di quella rosa che passò alla storia?
"Assolutamente no, anzi. Sono stato molto felice per i miei ex compagni e per i tifosi nerazzurri. E soprattutto per la famiglia Moratti, alla quale i tifosi interisti devono tantissimo per quanto ottenuto. Ma non va dimenticato che all'origine di tutto ciò ci fu il lavoro di Mancini".
Oggi l'Inter ha un altro argentino in punta, Lautaro Martinez, che è anche titolare in nazionale. Lo sarà anche al mondiale?
"Nel calcio tutto può succedere, ma lui è il 9 della Selección e spero che arrivi come tale al mondiale di Qatar. Si è guadagnato il posto da titolare e anche il rispetto dei compagni per quanto fatto con l'Argentina e anche con l'Inter".
In nerazzurro Lautaro si è sbloccato da poco dopo un periodo difficile.
"Per gli attaccanti è sempre così, lo dico perché anch'io ho vissuto epoche del genere. Poi ecco che Lautaro fa una tripletta e segna quel golazo contro il Liverpool. Una volta che si sblocca, l'attaccante ritrova la fiducia, è così da sempre nel mondo del calcio".
Che pensa dell'eliminazione dell'Inter contro il Liverpool?
"È stato un peccato enorme! Per me l'Inter non meritava l'eliminazione, anche se va ricordato il valore del Liverpool. All'andata soprattutto i nerazzurri hanno giocato alla pari per 75 minuti, e ad Anfield hanno vinto. Un peccato che siano usciti".
Se Sanchez non fosse stato espulso sarebbe stato diverso? Magari inserendo Dzeko?
"Sicuramente è stata una partita più difficile e l'espulsione ha cambiato le carte in tavola. Ma adesso l'Inter deve guardare avanti e puntare a vincere campionato e Coppa Italia".