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José Mourinho con le sue idee ha co-creato il calcio dei nostri anni (e non ha ancora finito)

Mourinho compie 58 anni e ha già vissuto l’intera parabola che tocca a un allenatore, sentendosi dare del guru, del genio, del bolso e dell’evergreen. Ma Mourinho resta Mourinho, non solo perché non deve essere considerato soltanto l’alter ego di Guardiola, ma perché ha cambiato il calcio grazie a idee comunicative e tattiche di cui è ancora il maestro.
A cura di Jvan Sica
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José Mourinho che oggi compie 58 anni ha già percorso l’intera parabola delle definizioni che un allenatore può sentirsi dire. All’inizio era troppo giovane, poi giovane, emergente, di prospettiva, guru, vincente, santone, toccasana, tramontante, demodé, vecchio, bolso, evergreen. In questo percorso che va dalle traduzioni fatte molto liberamente per Bobby Robson sulla panchina del Barcellona nel 1996-97 al Tottenham attuale, c’è un prima e un dopo molto netto nella carriera e nella considerazione generale dell’allenatore portoghese.

L’anno spartiacque è per la precisione il 2008, momento in cui Guardiola viene promosso sulla panchina della prima squadra del Barcellona e tutto quello che si diceva di Mourinho fino a quel momento (l’allenatore più in voga, i dettami tecnici più contemporanei, il gioco più cool, il calcio più vincente, la capacità di migliorare i singoli e il gruppo, la capacità di raggiungere i grandi obiettivi) verrà detto del nuovo vate, che porta con sé un calcio completamente nuovo e futuristico. Ma c’è chi si oppone a questa visione, per cui Mourinho debba essere visto semplicemente come il contraltare massimo di un altro allenatore e di un’altra visione tattica del calcio. Mourinho è Mourinho, con o senza Guardiola e resterà per sempre un allenatore con una precipua e molto evidente identità.

Partiamo da quello che emerge più facilmente, se pensiamo a Mourinho, ovvero la forza comunicativa che le sue parole hanno sempre avuto. Ha certamente vissuto un momento importante, ovvero l’arrivo dei social media, che sono serviti e servono ad amplificare ogni lettera, espandendo al massimo l’effetto (a volte riducendone al minimo il vero senso), ma lui ha percepito l’aria che cambiava, inserendosi con prepotenza nel flusso della comunicazione costante e che aveva continuamente bisogno di picchi emotivi per poter mantenere il focus attentivo dei tifosi iperconnessi. E Mourinho non si è lasciato pregare un attimo, spendendo parole su parole sulle sue squadre, quelle avversarie, sul mondo del calcio e su tutto quello che gli passava per la testa, cambiando magari anche idea, sapendo benissimo che sui social media a contare è il presente presente e mai e poi mai il presente prossimo di velocissima scomparizione. Ma quelle parole non erano solo un ecosistema personale in cui faceva sguazzare tutti, giornalisti e tifosi, erano anche un modo per tenere nel suo abbraccio paterno l’intero ambiente, senza che nessuno potesse essere toccato dagli agenti esterni.

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In questo quadro, la seconda rivoluzione mourinhana riguarda la gestione del gruppo, da mammasantissima e controllore efficiente, come tanti prima di lui, ma quanti prima di lui ne hanno esposto le dinamiche interne non per criticarne gli ingranaggi ma per mostrare quanto erano invece forti e saldi? Prima di Mourinho si diceva che meno parole uscivano dallo spogliatoio, più questo era coeso. Mourinho invece esponeva continuamente l’interno del suo spogliatoio (lo si vede ancora oggi in maniera evidente con le foto che pubblica sui suoi social media), ma per rinsaldarne la forza, riuscendo a compattarlo ancora di più ed escludendo pubblicamente chi non ne voleva far parte o lo criticava dall’interno.

Terzo elemento differenziale di José Mourinho rispetto a tutto quello che lo ha preceduto è il calcio di furia e grazia che chiedeva ai suoi uomini. Miscelando esperienze e insights molto diversi, Mourinho è stato uno dei primi allenatori a mescolare alla perfezione scuole calcistiche differenti, costruendo un suo modello personale in cui la morbidezza portoghese si legava alla concretezza italiana, così come la durezza anglosassone era mitigata dalle fantasia spagnole. Mourinho è stato il primo vero allenatore globale, non in quanto missionario del proprio calcio in varie parti del mondo, ma in quanto carta assorbente di idee calcistiche differenti che lui ha saputo far convergere in un’idea nuova e tutta sua.

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E infine è da screditare anche chi ne fa, sempre in contrapposizione con l’altro, un “sempliciotto” da un punto di vista tattico, perché alcune intuizioni mourinhane sono di grande novità e attualità. Una su tutte è la nuova concezione del numero 10 o meglio della mezzala d’attacco che con il sacchismo e post-sacchismo era praticamente scomparso. L’utilizzo, la centralità, i compiti e l’impatto di Deco con il Porto, Lampard con il Chelsea e Sneijder con l’Inter sono una grande rivoluzione nel ruolo e nella possibilità di rendere di nuovo indispensabili e fondamentali calciatori ad alto tasso tecnico ma con compiti del tutto nuovi.

Insomma il 58enne Mourinho non è stato solo “l’altro” del calcio degli anni 10, ma un allenatore che ha co-creato il calcio dei nostri anni. E non ha ancora finito, basta vedere come fa muovere Kane e Son per capire che ha ancora tanto altro da dare.

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