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Jorginho eroe per caso: l’Italia ha rischiato di perderlo per un errore

Jorginho è la pietra angolare della Nazionale di Roberto Mancini: detta il ritmo e chiama la giocata, mette ordine e chiama l’assalto. Il ct gli ha affidato le chiavi dell’Italia, restituendogli la centralità del ruolo che Ventura non gli riconosceva ritenendolo superfluo per la sua squadra. Gli Azzurri hanno rischiato di perderlo: in virtù delle sue origini il Brasile pensò di convocarlo in verde-oro. Ma il destino ha voluto diversamente.
A cura di Maurizio De Santis
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Gian Piero Ventura non credeva in lui, disse che per Jorginho non c'era collocazione tattica per come stava giocando la sua Italia. Lo considerava ‘solo' un metodista e lo tenne ai margini della Nazionale salvo convocarlo in extremis evitando che il Brasile strappasse uno dei centrocampisti più forti in Europa. Maurizio Sarri costruì intorno a lui il Napoli. Il Chelsea ha imparato ad apprezzarne la geometria e il senso tattico divenute un punto di equilibrio fondamentale nella formazione di Thomas Tuchel che ha vinto la Champions. Roberto Mancini gli ha affidato le chiavi della Nazionale dopo aver meditato sul preconcetto dei calciatori "nati in Italia".

Esperienza, dinamismo, furore agonistico perfettamente compensati dal ruolo di lotta e di governo dell'italo-brasiliano. È lui la ‘lavatrice' che ripulisce le giocate davanti alla difesa e riavvia l'azione. È lui che trasforma il giro-palla da possesso stucchevole e fine a se stesso a rapido rilancio, costruzione intelligente della manovra. È lui che tesse la trama abbinando velocità di pensiero e azione scanditi da una precisione nei tocchi che rasenta la perfezione. È lui la pietra angolare di un assetto tattico che coniuga l'esperienza di Verratti ("con lui sembra tutto più facile") e l'agonismo di Barella. La riprova è nella lettura del match dominato contro il Belgio: la nazionale prima nel Ranking s'è dovuta inchinare dinanzi ai 72 tocchi in 95 minuti, di cui uno solo sbagliato nella metà campo avversaria e nessuno nella propria.

Intensità, ragnatela di passaggi, strappi improvvisi, pressione alta, ricerca costante della palla e del compagno da servire, attacco della linea e mai fermarsi. Ai ‘diavoli rossi' è venuto il mal di testa e l'azione da gol di Barella è l'esempio tangibile di cos'è stata l'ondata che s'è abbattuta sul Belgio, trascinato dalla risacca come un pezzo di legno. Poi c'è Jorginho che alle spalle detta il ritmo e chiama la giocata, mette ordine e chiama l'assalto.

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"Non ci credo", ripeteva nel giorno in cui s'è accomodato sul tetto d'Europa con la squadra di club. La differenza è tutta lì, in quelle parole e in quegli occhi stralunati, da ragazzino che ha il muso schiacciato contro la vetrina dei dolci: affrontare la vita con la forza delle proprie qualità e un'umiltà tali che quando finalmente ce l'hai fatta non sembra vero. Invece, lo è. Non un sogno a occhi aperti ma la realtà di un calciatore che ha conquistato tutto sul campo nell'unico modo che conosceva: lavorando e giocando, senza mai mollare. Nemmeno quando l'Italia ha rischiato di perderlo perché, di origine brasiliana, la Seleçao provò a chiamarlo in verde-oro approfittando della diffidenza nei confronti di Jorginho.

Bravo, bello a vedersi ma poco utile. Il rendimento in Premier League, la capacità di essere competitivo e determinante anche in campionato che si muove su ritmi più intensi rispetto alla Serie A, ha cancellato anche quella scomoda etichetta che in Italia gli avevano attaccato addosso. Antonio Conte ne testò l'efficacia in due amichevoli contro Spagna e Germania ma non lo portò con sé a Euro 2016. E fu allora – non avendo disputato alcuna gara ufficiale – che dal Sudamerica immaginavano fosse agevole chiamarlo in nazionale.

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Poteva farlo? Sì, considerati origini e doppio passaporto. Jorge Luiz Frello Filho è italiano dal 2012 grazie al trisnonno paterno vicentino dopo essere giunto nel nostro Paese quando aveva 16 anni e iniziò a giocare nelle giovanili del Verona. Non avendo genitori né nonni nati sul territorio italiano, in base al regolamento della Fifa avrebbe potuto esordire in Nazionale solo al compimento del 23° anno di età (oggi ne ha 29).

Fu l'ex ct Cesare Prandelli ad apprezzare le sue caratteristiche e a chiedere alla Federazione di avviare le pratiche per la naturalizzazione. "Non ci credo" fu la frase che gli ronzò in testa anche allora e quando Ventura – quasi a furor di popolo – si decise a chiamarlo in Azzurro in occasione del doppio confronto con la Svezia per la qualificazione al Mondiale di Russia 2018. Finì malissimo per lui, per lo stesso Insigne e per l'Italia fuori dalla Coppa. Adesso lui e l'ex compagno di squadra del Napoli sono determinanti per la formazione di ‘Mancio'. Eroi (non) per caso.

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