La storia del coming out di Jakub Jankto – evento in qualche modo storico per il mondo del calcio seppure non sia stato il primo in assoluto – ci ricorda che tutte le dimensioni dello spirito, della pratica e dell’intelletto umano dovrebbero essere nei tempi che si vivono, non essere né troppo avanti né troppo indietro, per non essere fuori dal tempo e praticamente inutili. Questa è un’idea filosofica che ha tenuto insieme buona parte delle società umane nella storia e che ha costruito, passo dopo passo, il mondo che conosciamo.
Le arene di scontro contemporaneo (poche volte di incontro purtroppo) restano la razza, l’indisponibilità di lavoro qualificato in relazione all’offerta, la questione demografica legata anche ai flussi migratori. Forse però uno dei temi più sentiti, perché magari interessa in maniera più decisa il privato delle persone, è quello del gender.
La tesi è che viviamo nel mondo della fluidità sessuale, per cui non è possibile etichettare nessuno con un inquadramento di qualche tipo. Si è arrivati a questa riflessione, messa in pratica nelle società più evolute tra mille difficoltà, grazie alla maggiore libertà, al maggiore coraggio e anche all’assenza di alcuni legacci che rendevano impossibile la pratica (se ci sono leggi contrarie ad esempio, non puoi essere libero un bel niente). L’antitesi è che questo pensiero sia il frutto malato di tempi perversi e marci, in cui nessuna idea e pratica socio-politica abbia inquadrato, tendendo a migliorarle, le società. In poche parole, come tanti dicono, lasciando le gabbie aperte, vedi cosa succede.
Ci sono settori della società che sono nei tempi che viviamo. Lo è l’arte ad esempio e Sanremo ne è l’ultimo, molto nazionalpopolare ma magari proprio per questo forte, esempio. La discussione sulla fluidità di genere è stata al centro delle discussioni, tra canzoni, balli e monologhi. L’arte sente forte l’esigenza di esprimere questa realtà dei tempi. Lo sport invece no. Sono ormai anni, e in maniera ancora più forte in Italia con la crisi del suo modello calcistico, che lo sport e in particolare il calcio cerca di correre per acchiappare Premier League, Liga e Bundesliga, e sotto sotto soprattutto per farsi piacere da sceicchi e magnati vari, ma lo fa guardandosi all’indietro, esaltando i tempi belli di una volta.
Questa corsa con gli occhi rivoltati ovviamente frena il calcio e lo sport italiano e magari gli fa pure sbagliare strada. Oggi Jakub Jankto, calciatore di proprietà del Getafe e in prestito allo Sparta Praga, ma che sentiamo molto “nostro” perché ex di Ascoli, Udinese, Sampdoria e di tante nostre squadre di Fantacalcio, ha voluto dire al mondo che è gay e non può vergognarsene. Non può farlo perché è come tutti, anzi “è tutti” in fondo, con i suoi punti di forza e di debolezza.
Questa dichiarazione è storia anche per lo sport e per il nostro Paese. Lo sport non può pensare ad altro mentre ci sono temi urgentissimi da considerare che riguardano il gender. Si sta mettendo tutto sotto un tappeto che ormai non tiene più. L’Italia non può pensare né che questo tema si risolva con un bacio davanti al 70% di share, né che lo si nasconda allo stesso modo per altri decenni. La questione gender deve essere semplicemente compresa e accettata e in questa prima fase anche monitorata, perché non prova dolore solo chi ascolta i canti secondo i quali non si vede l’ora che il Vesuvio scoppi il prima possibile.
Bisogna aprire gli occhi, eventualmente senza parlare perché si fanno danni, e predisporre il terreno affinché tutti abbiano il coraggio che ha avuto Jakub Jankto. Affinché non serva più nemmeno il coraggio. Sembra una cosa relativamente facile, ma non è affatto così.