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Il ‘Principe’ Giannini oggi fatica a guardarsi: “Senza capelli non mi riconosce più nessuno”

Giuseppe Giannini è stato una bandiera della Roma, con i giallorossi ha disputato 437 partite. Leggenda giallorossa, protagonista anche con l’Italia ai Mondiali ’90, oggi lavora per il Monterosi e non si riguarda più: “Faccio fatica a rivedermi, mi rode che sono senza capelli”.
A cura di Alessio Morra
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C'è stato un decennio in cui la maglia numero 10 della Roma è appartenuta a Giuseppe Giannini, che venne ribattezzato il ‘Principe'. Era un centrocampista offensivo di altissimo livello, che con i giallorossi ha disputato oltre 400 partite. Lui, che ha vissuto da protagonista anche il sogno spezzato di Italia '90, ha vissuto tante esperienze dentro e fuori dal campo, e oggi che lavora per il Monterosi (club di Serie C) fa un bilancio della sua vita, e ha affermato di non riguardarsi mai.

Ha rilasciato una lunga e bella intervista Giannini al Corriere della Sera, nella quale ha ripercorso una carriera luminosa, nella quale gli è mancato solo il colpo grosso. 437 partite con la maglia della Roma. La prima l'ha disputata quando era ancora minorenne, l'ultima nel 1996. Ha vinto tre volte la Coppa Italia, perse uno scudetto sul filo e una finale di Coppa Uefa. Era l'idolo della tifoseria: romano e romanista, lo era pure del giovane Totti.

Giuseppe Giannini, detto il Principe, è stato una grande bandiera della Roma.
Giuseppe Giannini, detto il Principe, è stato una grande bandiera della Roma.

Un giocatore di alto livello, a cui venne subito affibbiato un soprannome di alto livello, il ‘Principe': "A volte questo soprannome ha condizionato chi mi giudicava, ma se si pensa ai miei ventidue anni di carriera è stato positivo. Non ce ne erano altri in giro. Mi piaceva. All’epoca davanti a me c’era Falcao che era “Il Divino”, io essendo arrivato dopo sono diventato “Principe”. Scelta azzeccata. Certo a guardarmi oggi". 

Era forte. Giocava a tutto campo: quantità e qualità. Il c.t. Azeglio Vicini lo fece esordire a 22 anni in Nazionale e gli diede la titolarità assoluta ai Mondiali di Italia '90, che rappresentano un dolore ancora forte per Giannini: "La semifinale del Mondiale del ’90 a Napoli non è paragonabile ad altro per importanza".

Giuseppe Giannini con la maglia della Nazionale, dopo il gol agli Stati Uniti ai Mondiali '90.
Giuseppe Giannini con la maglia della Nazionale, dopo il gol agli Stati Uniti ai Mondiali '90.

Calciatore di livello, che ogni tanto veniva punzecchiato pure per il suo aspetto fisico. C'era chi lo definiva più bello che bravo: "Io avevo solo una cosa in testa: giocare a calcio da professionista. Se qualcuno mi diceva che ero bello, brutto o scarso non mi interessava, guardavo talmente avanti che non mi toccavano queste cose. Sono sempre stato freddo e lucido". 

L'addio alla Roma è stato traumatico. Si aspettava di rimanere in società, ma non è stato così. Nel 1996 andò via, continuò per qualche altra stagione prima di lasciare e dedicarsi a fare l'allenatore e poi il dirigente: "Il primo pensiero, una volta smesso con il calcio, è stato quello di tornare nell’ambiente in cui ho sempre vissuto per 15 anni. Da casa mia sarei arrivato sempre a Trigoria, anche bendato. Sono dodici minuti. Conosco ogni curva e ogni buca del tragitto. Il desiderio era di iniziare un percorso da dirigente o allenatore nella Roma. Non è stato possibile e ho guardato avanti. Ora sono contento qui al Monterosi".

Con la maglia giallorossa ha vinto tre volte la Coppa Italia.
Con la maglia giallorossa ha vinto tre volte la Coppa Italia.

Oggi Giannini non si rivede, soprattutto perché ha perso un po' i capelli: "Faccio fatica a rivedere vecchie immagini. Sono cambiato tantissimo e mi “rode” adesso che sono senza capelli. Mi dà un po’ fastidio sinceramente, quindi evito di guardarmi. La gente neanche mi riconosce per strada". 

Ma a parte questo è molto sereno, lavora per il Monterosi, ricorda l'avventura da c.t. del Libano: "Che rimpianto per la mancata qualificazione alla Coppa d'Asia, siamo usciti per un gol, mi avrebbero fatto una statua a Beirut se passavamo", non pensa ai mancati successi con la Roma "I “se”, i “ma”… quanto contano nel calcio? Tornare indietro e pensare a cosa avrei potuto vincere non mi piace. Ho dato quello che potevo dare, ho ricevuto quello che potevo ricevere", e si definisce: "Aspirante intenditore di calcio".

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