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“Il più grande pagliaccio mai visto” è il calcio italiano ai tempi del Coronavirus

Nei giorni dell’emergenza Coronavirus, nel contesto di un paese fortemente condizionato nelle sue attività quotidiane, il calcio italiano è sembrato l’unico comparto inconsapevole della gravità della situazione. Ne ha dato prova con pensieri e azioni quasi irrispettosi della criticità del momento.
A cura di Sergio Chesi
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Sono servite quasi due settimane affinché i vertici del calcio italiano prendessero coscienza di quello che stava accadendo in Italia. Letteralmente in casa nostra, sotto i loro occhi, eppure – nei pensieri e nelle azioni – come se i problemi legati al Coronavirus fossero lontani migliaia di chilometri. O come se il calcio e i suoi templi, gli stadi, ne fossero immuni. Oppure ancora, ed è forse l’aspetto peggiore: come se i dirigenti del nostro calcio avessero la capacità di gestire e controllare l’emergenza.

L’emergenza, la stessa che ha alterato la quotidianità di parte del paese nelle ultime due settimane, non è mai stato il centro della questione calcistica. L'interesse primario stato sempre uno: giocare, possibilmente con gli stadi aperti, nelle migliori condizioni sportive possibili, magari anche ponendosi in posizione di vantaggio rispetto all'avversario. Ad ogni costo. The show must go on.

Fino a circa 24 ore fa, la Lega Serie A e i club erano convinti di aver trovato la soluzione all'impasse del calendario ‘giocando’ con la scadenza del decreto governativo sul Coronavirus: valido fino all'8 marzo? Partite spostate al 9 e tutti allo stadio, come se il pericolo di contagio avesse una data di scadenza. Contemporaneamente, resisteva la convinzione di poter giocare a porte aperte Juventus-Milan di Coppa Italia nella stessa città in cui era stata disposta la chiusura delle scuole. Un'autentica follia, fortunatamente rientrata in tempo utile.

Ci si è preoccupati – com'è ormai tipico di un'azienda disperatamente aggrappata agli introiti televisivi – del danno d’immagine di uno Juventus-Inter trasmesso in mondovisione senza spettatori sugli spalti, nei giorni in cui il mondo intero volgeva uno sguardo preoccupato all'evoluzione della situazione nel nostro paese. Curioso tentativo di nascondere un’emergenza che era già, evidentemente, sulla bocca di tutti. Come se poi bastasse riempire uno stadio, accendere i riflettori e far partire lo spettacolo, per rendere il calcio italiano un prodotto di valore.

Ma quale valore può avere un movimento incapace di rendersi conto di un'emergenza, di affrontarla in modo consapevole, di comprendere le necessità di tutelare la salute di tutti – dai tifosi ai calciatori -, persino di auto-tutelarsi trovando un punto di intesa su recuperi e calendari per consentire il regolare svolgimento del campionato fino al termine della stagione (ad oggi, per capirci, non ci sono date libere a sufficienza per consentire all'Inter di completare la sua stagione)?

"Il più grande pagliaccio mai visto", alla fine della fiera, è proprio il calcio italiano.

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Giornalista sportivo, caporedattore di Fanpage.it con delega all'area Sport. Tra le esperienze precedenti, ho ricoperto il ruolo da direttore di Goal.com, network di informazione calcistica del gruppo DAZN.
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