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Il pianto liberatorio di Mancini: “Ho dovuto piangere, sono stati 50 giorni estenuanti”

L’Italia campione d’Europa a Wembley ha regalato al Paese una grande vittoria, a Mancini e Vialli anche il riscatto per l’amarezza conosciuta 30 anni prima in quello stesso stadio, nella finale di Coppa Campioni persa con la Samp. L’abbraccio e le lacrime spiegano bene cosa ha significato per entrambi un’avventura durata quasi 2 mesi. “Mi è passato davanti come un film, ero molto emozionato in quel momento. La squadra ha dato tutto, ecco perché ce l’abbiamo fatta”.
A cura di Maurizio De Santis
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Cinquanta giorni. Cinquanta sfumature di Roberto Mancini. Cinquantamila lacrime versate in diretta TV, mentre scioglieva la tensione nell'abbraccio con l'amico, bomber e fratellino, Gianluca Vialli, spiegano bene cosa è stato e come ha vissuto questi Europei il ct della Nazionale. Ne aveva raccolto i cocci 3 anni fa dopo il fallimento di Gian Piero Ventura e della mancata qualificazione ai Mondiali di Russia 2018, l'ha trasformata – contro ogni pronostico, perché i favoriti erano altri – in una squadra vincente. "Mi è passato davanti come un film – ha ammesso Mancini nell'intervista a Sport 1 -. Ero molto emozionato in quel momento. Mi sono venute le lacrime agli occhi e ho pianto. Ho dovuto farlo per scaricare tutta la tensione di quasi 2 mesi estenuanti e pieni di emozioni".

La vita toglie, la vita dà. E spesso regala anche una buona occasione per regolare i conti con il passato. Mancini e Vialli ne avevano un ancora aperto. Risaliva a 30 anni prima, sempre nello stesso scenario di Wembley. La bordata di Koeman nei supplementari spezzò il sogno della Sampdoria di conquistare la Coppa dei Campioni contro il Barcellona. Allora ingoiarono il boccone amaro della sconfitta, adesso possono ancora sentire tra le labbra il nettare bevuto dal trofeo alzato in faccia alla Inghilterra gonfia di sicumera. "Ricordo ancora molto bene quella partita – ha aggiunto Mancini -. Non meritavamo di perdere ma ora il cerchio si è chiuso. Sono contento anche perché questo trofeo appartiene in parte anche ai tifosi della Sampdoria".

Immaginate di trovarsi per un attimo al suo posto: vi giocate tutto in una finale da disputare in casa dell'avversaria, sostenuta da un battage mediatico tambureggiante (l'epico "it's coming home" divenuto il simbolo di un trauma collettivo) e da un catino di tifosi euforici, esaltati, impazziti a tal punto da scatenare (anche) incidenti. Due minuti e siete già sotto di un gol, tremendo. È in quel momento che l'Italia ha mostrato cuore, coraggio e compattezza di gruppo.

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È lì che ha mostrato di avere abbastanza fiducia in se stessa da temere nulla. È lì che, guidata dai senatori, ha tenuto botta e reagito, rimontando il risultato con Bonucci, sfiorando il raddoppio e poi difendendo a tutti i costi il pareggio utilizzando anche metodi poco ortodossi (il fallo tattico di Chiellini su Saka è iconico, ha ispirato meme e tatuaggi, è entrato nel corredo accessorio di una petizione folle per far ripetere il match). "Sia Bonucci sia Chiellini hanno avuto un ruolo importante naturalmente e questa vittoria l'hanno meritata tutta perché hanno fatto la storia del calcio italiano degli ultimi 20 anni".

Ai rigori Donnarumma ha sfoderato concentrazione e prodezze chiarendo, a chi ancora ha qualche remora nei suoi confronti e fa ironia sulle pretese economiche, che i 12 milioni netti a stagione del Psg li ha meritati tutti. Non ha capito subito cosa era successo, lo ha realizzato poco dopo quando a interrompere il silenzio che la trance agonistica aveva creato intorno a lui è stata l'esultanza dei compagni in Azzurro. Tutto vero, Gigio. "Si è creato un grande spirito di squadra – ha concluso Mancini – e questi ragazzi hanno dato tutto. Ecco perché alla fine ce l'abbiamo fatta".

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