Il Napoli di Coppa è un’altra cosa. E l’Inter di Conte s’incarta a San Siro
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Il catenaccio devi anche saperlo fare. A San Siro il Napoli e Gattuso, che sulla coscienza portavano gli orrori contro il Lecce, si sono rimboccati le maniche e hanno impostato una partita intelligente, accorta, votata al sacrificio ma forti della qualità che un po' aiuta a non stare semplicemente chiuso nell'angolo a prendere cazzotti e un po' consente di respingere l'avversario con colpi chirurgici. È tutta qui – e non è poco – la vittoria dei partenopei (0-1) nell'andata della semifinale di Coppa Italia contro l'Inter che al San Paolo (in campionato) aveva sfruttato la propria compattezza come tratto distintivo per battere gli azzurri: finì 3-1 con Lukaku e Lautaro che s'infilarono nella difesa avversaria come lama nel burro, capitalizzando gli spazi, le mancate coperture (e le "cappellate") dei padroni di casa.
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Mercoledì sera il copione s'è rovesciato con l'aggravante per la squadra di Conte che lancio lungo (per innescare la velocità di Lautaro e la fisicità di Lukaku) e cambio gioco sulle fasce (più Moses che Biraghi) si rivelano più guizzi occasionali che soluzioni a corredo dello sviluppo della manovra. Il motivo? È duplice: Barella è "scarico" rispetto al derby; Sensi non fa l'Eriksen, non detta né il passaggio né il ritmo né il cambio di passo; Brozovic è poco brillante e buona parte della sua "opacità" si spiega anche con la mossa di Gattuso che gli ha piazzato addosso Mertens neutralizzando geometrie e ripartenze ragionate. La gara del belga va elogiata per disciplina, intelligenza e soprattutto per la duttilità che lo porta a interpretare la partita come un 9 (quando attacca e gira al volo d'interno destro un bel passaggio di Callejon), un 10 che ha i piedi buoni per rifinire oppure un 8 volante che ripiega a centrocampo.
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Sicché il 54% di possesso palla a beneficio dell'Inter si rivela sterile e per buona parte del match resta impigliata tra i "cavalli di frisia" sistemati sul rettangolo verde: Demme vertice basso, Zielinski a tutto campo (ma poco lucido alla fine del primo tempo a due passi da Padelli), Fabian Ruiz che viene fuori alla distanza (sua la rete, bellissima, che indirizza la qualificazione).
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Non inganni la mole numerica perché alla fine alla voce "grandi occasioni" e "occasioni sbagliate" non ci sarà alcuna differenza (una per parte). Eccezion fatta nel finale, quando l'inserimento di Sanchez e dell'ex Tottenham disegna in mezzo al campo una formazione aggressiva (4-3-3 con il danese in versione regista, va negli spazi e anche al tiro), i padroni di casa non danno mai l'impressione di poter prendere le redini del match in pugno.
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I 529 passaggi fatti (88% di precisione) rispetto ai 432 del Napoli (86% di precisione) scandiscono più il tentativo affannoso di farsi largo "sulla spiaggia", procedendo a zig zag ma senza avanzare di un millimetro, che l'articolazione geometrica della manovra. Sono 117 le palle perse dai nerazzurri (10 in più rispetto ai partenopei), 39 i contrasti vinti dalla squadra di Gattuso che ha dalla sua anche un numero maggiore di duelli aerei (10), intercetti (8) e salvataggi effettuati (34). L'Inter finisce nell'imbuto e quando perde palla rischia con Elmas (schierato esterno a sinistra) e Callejon (dirimpettaio) molto abili nel ruolo di lotta e di governo.
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Lodevole la prestazione del macedone: nel 4-5-1 recita con profitto il copione che Gattuso ha scritto per lui, riesce a far salire la squadra con fisicità e qualità mostrando anche buona personalità a dispetto dell'età (20 anni). Un appunto? La ricerca un po' eccessiva della ripartenza dalla propria area con Ospina a rilanciare come se si trovasse a eseguire un ordine di Guardiola. Lui non è Ederson e Gattuso non è Pep… ma se là dietro Manolas e Maksimovic tengono botta, Di Lorenzo e Mario Rui soffrono poco è merito proprio dell'idea collettiva di sacrificio che vede (finalmente) un Napoli che non è solo corsa e furore agonistico. Lo ammette anche Conte nel dopo gara, quando ricorda delle vittorie contro Liverpool (e pareggio ad Anfield), Lazio, Juventus e definisce gli azzurri "una delle squadre più forti e difficili da affrontare" dopo i bianconeri. Peccato abbia gettato un campionato alle ortiche, ma questa è un'altra storia.
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