Il Napoli arriva al centro sportivo e trova De Laurentiis: faccia a faccia con tutti
Ritto, a bordo campo. Gambe divaricate, ben salde per terra. Sguardo fisso sulla squadra che sgambetta e palleggia. Fiero l'occhio, mascella serrata. Spalle larghe, ha una mano in tasca e con l'altra stringe il cellulare. Si trattiene per un po', non ha fretta. Aurelio De Laurentiis è arrivato questa mattina al centro sportivo di Castel Volturno, dedicherà tutta la settimana alla sua creatura che domenica scorsa gli ha fatto quasi venire un colpo: 0-2, 3-2 in meno di dieci sciagurati minuti. Che botta.
I muscoli del capitano sono lì a mostrare al mondo intero che lui è saldo sul cassero a fiutare il vento e le correnti. Vede terra col binocolo, è la tanto agognata Champions League che gli è costata soldi (non incassati) e veleno. E impreca, gli viene fuori un "ringhio" beffardo. Ha voglia di prendere nostromo ed equipaggio per passarli alla frusta e spedirli tutti in ritiro sottocoperta. Ma teme ammutinamento e naufragio, come già gli è successo. E allora mette da parte il sangue caldo della prole dirigenziale: passa dalla clausura punitiva al clima più conciliante di sedute terapiche di gruppo con tanto di chiacchierata finale con ogni ragazzo.
Una cena per domarli, un'altra per (ri)trovarli. Alzeranno i calici e, dopo il patto scudetto ne faranno un altro per (almeno) il quarto posto che vale un tesoro. Il finale del "Castellani" lo porta ancora scolpito dentro, è una di quelle scoppole che non dimenticherà mai. Magari il rosso per l'occasione lo farà arrivare Luciano Spalletti dalle sue tenute. Per il sangue che hai perso, il vino pareggia.
De Laurentiis ascolta, medita, rassicura, fa sentire la sua presenza. Vuol capire e sentire con le sue orecchie cosa è successo, qual è la causa del crollo fisico e mentale. Promette nulla, rimanda tutto a fine stagione compresa la possibilità/opportunità di cambiare (ancora) la guida tecnica. Se ne riparlerà a Coppa in tasca e denari (tanti) che in questi due anni sono mancati come il pane. S'è (ri)dimensionato poco alla volta, ha campato di rendita grazie ai frutti dei campi seminati da Rafa Benitez e adesso non ha più scorte in magazzino. Sa che deve ricominciare tutto daccapo. Glielo disse anche Carlo Ancelotti, che col Real si sta giocando l'ennesima Champions della carriera, e fece una scelta precisa: buttare a mare un'idea di futuro per tenersi stretto il presente. Ma in fondo il suo Napoli ha sempre avuto un orizzonte molto limitato, non solo per una questione di risorse.
Non ha intenzione di separarsi da Spalletti. Almeno non ancora. Perché dovrebbe dire addio al tecnico che ha sfiorato il miracolo (scudetto) con una rosa buona (nella quale non mancano contraddizioni ataviche come il terzino sinistro, in molti sono al capolinea) ed è in linea con quanto richiestogli (piazzarsi tra le prime quattro)? È arrivato dopo Gattuso, ha chiesto poco o nulla (se non provare a trattenere i migliori), tratto il massimo da quel che aveva sotto mano. Aziendalista al massimo, un telefonata prima dell'annuncio del ritiro se l'aspettava.
Questa volta, se le frizioni degli ultimi tempi non saranno appianate e l'allenatore non si sentirà un po' più padrone delle scelte, è possibile pure che sia il patron a essere mollato e non viceversa. Empoli è uno shock, come lo scudetto perso in albergo a Firenze e il Verona. Deve fare di nuovo i conti con quel passato con il quale credeva d'aver chiuso. Ed è chiaro che dietro certe carenze strutturali che si riflettono in campo e impediscono di spiccare il volo c'è dell'altro, va ben oltre la cifra tecnica dei tesserati.
Fino a sabato (spera), giorno dell'anticipo di campionato col Sassuolo, il presidente vestirà in panni del prete confessore, dello psicologo, del fratello maggiore, del buon padre di famiglia che al mattino ti dà un ceffone "perché così impari" e alla sera, prima della buona notte, t'accarezza in viso e dice "è per il tuo bene, figliolo". È andato a casa di Mertens poi s'è recato al ristorante (blindato) per il ritrovo con il resto della squadra. L'obiettivo stagionale non è mai stato (oggi come in passato) vincere lo scudetto ma qualificarsi in Champions. Niente è perduto. C'è solo un po' di nebbia che annuncia il sole. Andiamo avanti tranquillamente.