Il messaggio dello psicologo di Maradona: “L’ho visto tremare, ma teniamolo segreto”
I messaggi nelle chat di WhatsApp. Gli audio delle telefonate acquisite dalla Procura che si occupa dell'inchiesta. C'è di tutto nel dossier raccolto dai magistrati che hanno aperto l'inchiesta sulla morte di Maradona avvenuta il 25 novembre scorso. E tutto conferma la tesi degli inquirenti secondo cui il decesso dell'ex Pie de Oro poteva essere evitato se solo fosse stato seguito, curato, accudito e soprattutto ospitato in un ambiente adatto alle sue condizioni. Negligenza medica, è questo il filo conduttore che tiene unite le due figure chiave al momento: il neurochirurgo, Leopoldo Luque, e la psicologa, Agustina Cosachov, entrambi ritenuti centrali nell'indagine ed entrambi a rischio per ipotesi di reato molto gravi.
Nel corredo accessorio di prove e altro materiale probatorio ci sono anche altri personaggi (medici, personale sanitario) finiti sotto la lente della Procura. Una di queste è Carlos Diaz che – come riporta cuatro.com – nelle conversazioni con Luque fornisce dettagli preoccupanti. Si tratta di colloqui che risalgono a una decina di giorni prima del decesso di D1os: "L'ho visto tremare, ma questa cosa teniamola segreta". Segreta perché Luque comunica con i familiari attraverso una chat nella quale discute di ogni cosa e soprattutto (è la tesi della Procura) è lui a decidere cosa è meglio per El Diez.
"Deve sembrare un controllo". È l'ennesima espressione cerchiata in rosso dagli inquirenti e fa riferimento a un altro ammonimento di Diaz al neurochirurgo: è il 3 novembre e il messaggio allude al fatto (ma su questo si cerca ancora di fare chiarezza) che bisognava fare il possibile per far risultare un "controllo esauriente" sulle condizioni di Maradona. Una sorta di finta visita che andrebbe a sostegno della tesi dei magistrati secondo cui – come dedotto già per effetto di altre prove – c'era interesse a non rivelare quello che stava realmente accadendo all'ex Pibe. "Così o ci radiano dall'albo oppure siamo dei semidei". È la frase che – per gli inquirenti – dimostrerebbe come fossero consapevoli di fare qualcosa di sbagliato.