Il discorso di Ibrahimovic nello spogliatoio del Milan è adrenalina pura: fa volare un tavolo
Il discorso di Ibrahimovic nello spogliatoio del Milan dopo la conquista dello scudetto mette i brividi addosso. Fa accapponare la pelle. Non è necessario essere tifosi rossoneri per carpirne l'essenza e lasciarsi trasportare. I grandi campioni sono così, parlano e tutti gli altri stanno zitti intorno a loro. Possono farlo, hanno abbastanza personalità per arrivare dritti al cuore senza fare giri di parole. E lui, Zlatan, non è (mai stato) tipo da perdersi in chiacchiere.
A Milano lo svedese è l'uomo che ha (ri)scritto la storia di una squadra in cui "nessuno credeva", che ha fatto del gruppo la propria forza e ha tratto linfa vitale da valori semplici. Li elenca uno alla volta con voce stentorea: spirito di sacrificio, capacità di soffrire, fiducia nei propri messi e disciplina del duro lavoro. Non c'è bisogno di artifizi retorici. È la legge del calcio, bellezza. Che sa essere spietata oppure dolcissima.
Il ‘diavolo' prese lui proprio perché all'interno della rosa serviva un uomo con le sue caratteristiche: personalità ed esperienza abbinate a qualità tecniche. Che altro? Tutto il resto è Ibra, il calciatore che ha modificato il corso del destino da quando arrivò nella sessione invernale di mercato. E quel "dopo di me sono arrivati anche altri" ti dà quasi l'impressione del c'era una volta a inizio a favola.
Adrenalina pura nel segno di Zlatan. Lo avrebbe voluto Carlo Ancelotti a Napoli – e lui stesso non ne ha fatto mistero – ma l'esonero dell'attuale allenatore del Real Madrid (giunto in finale di Champions coi blancos) fece sì che prendesse un'altra direzione. Dal 2011 – anno dell'ultimo scudetto – a oggi – nella stagione del 19° titolo cucito sulla maglia – c'è la lunga camminata nel deserto del club che con Maldini e Massara, un club finalmente solido, e il tecnico Pioli ha ritrovato la via maestra. Davanti a tutti c'è lui, Zlatan.
"Tranquilli, non smetto" dice nell'incipit del video pubblicato sui social dal Milan. Inizia con una battuta poi si fa serio. Non c'è altro annuncio da dare che lo riguardi personalmente ma solo da elogiare il percorso fatto dalla squadra. "Quando abbiamo iniziato non tanti hanno creduto in noi ma questo ci ha reso più forti": il primo concetto è quasi sussurrato ma dal tono della voce, dalla mimica del corpo e dall'espressione stampata sul viso si intuisce che il prosieguo sarà un crescendo fino al colpo di scena conclusivo.
"Sacrificio, soffrire, credere, lavorare", Ibra conta sulla punta delle dita le quattro cose essenziali che hanno fatto del Milan "un gruppo che è diventato campione d'Italia". Ringrazia i calciatori, lo staff dirigenziale (Paolo Maldini, Ricky Massara, Ivan Gazidis) e ribadisce come grazie a quei pochi punti fermi "siamo diventati più forti". Tutto qui? No, c'è ancora dell'altro. L'ultima parte dell'arringa è tutta da gustare: "Adesso festeggiamo come campioni" poi, con sguardo fiero, serra la mascella, stringe i pugni e ribalta il tavolo "perché Milano non è l'Italia… il Milan è l'Italia".