Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere. Il Covid-19 è una cosa seria, le parole di Gian Piero Gasperini sull'intera vicenda no. Il senso delle sue frasi sulla pandemia tracima, va oltre le competenze e trascina tutto nel gorgo. L'effetto che fa il tecnico non è lo stesso della sua Atalanta: non suscita entusiasmo, non piace, è stonato, irresponsabile, superficiale, indelicato, sotto ritmo, fuori contesto.
Non è tutta colpa sua, sia chiaro, perché anche la gestione della comunicazione da parte del club ha mostrato falle imbarazzanti ma è impossibile – alla luce delle ultime dichiarazioni – non censurare la leggerezza con la quale l'allenatore ha raccontato di essere stato contagiato dal coronavirus, di aver sofferto nell'immediata vigilia della gara con il Valencia partecipando alla trasferta e all'evento come d'abitudine.
Dalla Spagna quasi trasecolano leggendo il racconto che il tecnico ha fatto della propria esperienza di infetto: è stato così male che aveva "paura di morire" e quel brutto sogno a occhi aperti era accompagnato dal rumore delle sirene delle ambulanze. "Aveva sintomi e non ha preso precauzioni? Così ha messo a rischio molte persone", è il succo del comunicato molto duro del Valencia.
Da Bergamo si difendono con una nota che smentisce lo stesso Gasperini: "In occasione della partita tutti i protocolli di sicurezza erano stati rispettati e che il tecnico non aveva mai avuto febbre o problemi respiratori prima e durante il soggiorno in Spagna". Peccato che tanta solerzia ci sia stata solo per il caso di Marco Sportiello, unico tesserato degli orobici risultato positivo (adesso guarito) e di cui la società ha dato notizia.
Gasperini è stato male oppure no? E quando? A giudicare da quanto rivelato nell'intervista alla Gazzetta dello Sport lo era anche prima del ritorno di Champions giocato a porte chiuse al Mestalla. E se l'Atalanta ora propone una versione dei fatti del tutto diversa qual è la deduzione? Qualcuno deve aver fatto confusione e non è certo la prima volta che accade soprattutto quando la narrazione degli eventi è contraddittoria, discutibile e a farla è l'allenatore.
"Essere qui è sensazione molto diversa rispetto all'Italia e a Bergamo in particolare – affermò Gasperini alla vigilia della gara in Spagna -. Non so se dobbiamo pensare che abbiamo avuto un eccesso di zelo noi in Italia o meno. Lo stesso Parejo faceva notare: che senso ha giocare a porte chiuse se nel frattempo c'è una festa in città con migliaia di persone?". E queste sarebbero le parole di una persona che sta male e teme per la propria vita? All'apparenza no.
C'è dell'altro ancora che ingarbuglia la matassa. "State a casa, state in famiglia, non uscite", ribadiva Gasperini che aveva sotto gli occhi il dramma del territorio dove lavora. E allora perché, se aveva quei sintomi, è andato in panchina? Perché lui per primo non è rimasto a casa?
Non è l'unica incongruenza. "È come la peste ma per me dovevamo andare avanti a porte chiuse" sentenzierà in piena emergenza parlando dell'opportunità o meno della Serie A di andare avanti. Doveva essere per la grande fiducia che nutriva per il servizio sanitario. "Da queste parti, in Lombardia, siamo sufficientemente organizzati, pur se in difficoltà. Mi chiedo cosa potrebbe accadere a Roma, a Napoli". Cosa è accaduto, è noto. Il Covid-19 è stato (ed è) un evento serio, le parole di Gasperini no. Non lo sono state e non lo sono.