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Il cardiologo del calciatore morto in campo: “Sapevo che sarebbe successo, decisione rispettabile”

Il dottor Antonio Asso è il luminare di cardiologia che impiantò il defibrillatore sottocutaneo a Raphael Dwamena, l’attaccante ghanese morto in campo sabato scorso in Albania. Quando venne a conoscenza dell’intervento di rimozione del dispositivo cui l’anno scorso si era sottoposto Dwamena, il medico ebbe chiara quale sarebbe stata la sua fine.
A cura di Paolo Fiorenza
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Col passare dei giorni dalla tragica morte di Raphael Dwamena, la verità su cosa sia successo – e soprattutto perché sia accaduto – al 28enne attaccante ghanese, crollato in campo sabato scorso durante una partita del massimo campionato albanese e morto poco dopo, appare sempre più chiara: se il calciatore dell'Egnatia Rrogozhine non avesse deciso di togliersi l'anno scorso il defibrillatore sottocutaneo impiantatogli due anni prima, oggi sarebbe ancora vivo. La conferma arriva dalle parole del cardiologo che lo aveva avuto in cura a Saragozza, quando fu rilevato il problema al cuore poi rivelatosi fatale.

Antonio Asso, medico del Servizio di Cardiologia dell'Ospedale Miguel Servet di Saragozza e dell'Istituto di Aritmia Quironsalud della stessa città, è stato colui che nel 2019 – insieme allo staff medico del Real Saragozza, club dove il giocatore era approdato in prestito dal Levante – ha dovuto far capire a Dwamena che i suoi problemi cardiaci erano incompatibili con il gioco del calcio. Non senza sforzi dovuti alla riluttanza del calciatore, nel gennaio del 2020 i medici riuscirono a impiantargli un defibrillatore nel torace, condizione imprescindibile per potergli consentire di proseguire l'attività agonistica.

Dopo che Dwamena lasciò Saragozza, il cardiologo perse i contatti con lui e apprese solo dai media che poco più di un anno fa aveva deciso di togliergli il defibrillatore sottocutaneo che gli aveva salvato la vita qualche mese prima, quando aveva già subìto in campo un episodio di aritmia maligna potenzialmente fatale. "Se muoio, è la volontà di Dio. Me ne vado e basta", aveva dichiarato il ghanese riguardo alla sua decisione di rimuovere il dispositivo dal proprio petto.

Raphael Dwamena il giorno della presentazione nel club albanese dell'Egnatia Rrogozhine
Raphael Dwamena il giorno della presentazione nel club albanese dell'Egnatia Rrogozhine

Quando venne a conoscenza del nuovo intervento di rimozione cui si era sottoposto il calciatore, il dottor Asso ebbe chiara quale sarebbe stata la sua fine: "Da quel momento ho avuto la consapevolezza che un giorno sarebbe successa la tragedia che è accaduta sabato su un campo di calcio in Albania". In una lunga lettera aperta inviata all'Heraldo de Aragon, il luminare spagnolo ha raccontato tutta la vicenda di Dwamena fin dall'inizio.

"Ho conosciuto Dwamena nell'ottobre 2019 quando il dottor De los Martires del Real Zaragoza, preoccupato per alcune vertigini che il giocatore aveva accusato nelle ultime partite, ha richiesto la mia valutazione. Mesi prima gli era stato posizionato un minuscolo monitor sottocutaneo e la registrazione era stata inequivocabile sulla relazione dei suoi sintomi con le gravi aritmie ventricolari verificatesi durante le partite di calcio. Prima di iniziare a spiegargli i risultati, ero consapevole del significato che le mie parole avrebbero avuto per questo giovane atleta africano – a quel tempo nell'élite economica e professionale – il cui futuro di calciatore stava tramontando".

"Siamo riusciti a convincerlo dell'urgente necessità di impiantare un defibrillatore per garantirgli almeno la vita, sconsigliando allo stesso tempo di praticare sport professionistici. Ho insistito sul fatto che con il progredire della malattia, ad un certo punto avremmo potuto affrontare l'origine dell'aritmia attraverso un intervento di ablazione, ma ciò richiedeva che fosse mantenuto in vita, e per questo il defibrillatore era essenziale. Raphael era un ragazzo eccezionale, nobile e dagli occhi puliti, senza l'aria di una star. Ha riposto in noi tutta la sua fiducia e, dopo aver impiantato il defibrillatore, ha lasciato la Spagna. A volte mi chiedeva qualche consiglio specifico, al quale rispondevo volentieri, anche se ero consapevole che non lo ascoltava. Era determinato a perseguire soprattutto la sua carriera professionale e ho finito per perdere la speranza di influenzarlo".

"Un paio di anni fa mi dissero che il defibrillatore gli aveva salvato la vita quando aveva avuto un'aritmia maligna che era stata correttamente curata in automatico dal dispositivo. Successivamente avevamo perso i contatti. Un anno fa appresi dalla stampa che aveva chiesto la rimozione del defibrillatore da noi impiantato e che finalmente era stato espiantato, credo in Svizzera. Era già tardi, la sua decisione era irrevocabile e riponeva tutta la sua responsabilità su se stesso e sulla volontà del Dio in cui credeva. Da quel momento ho avuto la consapevolezza che un giorno sarebbe successa la tragedia che è accaduta sabato su un campo di calcio in Albania".

"È morto per una rispettabile decisione personale, ma se il defibrillatore non fosse stato espiantato, Raphael sarebbe ancora vivo. È la fine di una storia triste e prevedibile. A volte le notizie sono confuse, e vale la pena chiarire alle migliaia di pazienti che portano un defibrillatore e confidano nella sicurezza che offre, che non è morto qualcuno che indossava un defibrillatore, ma piuttosto qualcuno che NON lo indossava. Riposa in pace Raphael Dwamena".

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