Il 2009-2010 da alieno di Mourinho: genesi del Triplete dell’Inter
Come ha scritto magistralmente Sandro Modeo nel suo libro che ha inciso una svolta decisiva alla letteratura sportiva in Italia, “L’alieno Mourinho”, José Mourinho nell’estate del 2009 era appunto un vero e proprio alieno sotto tanti punti di vista. Era alieno nel nostro calcio, perché aveva un’opinione su tutto e su tutto sapeva controbattere a ogni attacco, mentre gli allenatori italiani fino a quel momento erano sempre stati molto “sottotono” quando si trattava di esprimere pubblicamente un’idea. Ma era un alieno anche per il nostro Paese in generale. Noi siamo sempre stati accomodanti, la nostra caratteristica storica era smussare qualsiasi contrasto (ricordate le “convergenze parallele” in politica) e invece Mou creava continuamente spigoli, dove voleva che tutti andassero a scontrarsi per ascoltare e farsi un’opinione su quel che lui stesso diceva. Guidava l’agenda, si direbbe oggi, e al tempo era davvero una mezza rivoluzione.
“Sia come persona che come allenatore sono un tipo semplice. Vorrei che le persone, in compenso, fossero sempre aperte e disponibili. In fondo è facile lavorare con me. Basta seguirmi”.
In quell’estate del 2009 però José Mourinho era già sul banco degli imputati. Arrivato un anno prima in nerazzurro, aveva vinto il campionato con 10 punti di vantaggio su Juventus e Inter, la Supercoppa italiana ai calci di rigore contro la Roma, ma non bastava. Quell’Inter era quasi ingiocabile in Italia e Roberto Mancini prima di lui aveva vinto i tre campionati precedenti. Ora serviva diventare grandi anche in Europa, ma Mourinho sbatté contro il Manchester United di Cristiano Ronaldo agli ottavi di finale e uscì presto dalla competizione.
Questo che iniziava doveva essere l’anno del grande sogno di Massimo Moratti. Come il padre, nel cielo di Vienna nel 1964 e in quello di Milano nel 1965 aveva alzato la Coppa dei Campioni, così Massimo voleva ripetere, per una sorta di promessa/sogno che al padre stesso doveva. E l’uomo grazie al quale questa promessa doveva essere mantenuta era proprio José Mourinho.
“In alcune cose la somiglianza tra Mourinho ed Herrera è impressionante. Come Herrera, Mourinho è un vero lavoratore, infaticabile, meticoloso, attento al più piccolo dei particolari, all'avanguardia tatticamente” – Massimo Moratti
Come abbia condotto quella stagione José Mourinho ormai è nei libri di storia. Dal mercato arrivano Samuel Eto'o, una sorta di contropartita al ribasso rispetto a Zlatan Ibrahimović che era andato a ingrossare la fila dei mostri presenti a Barcellona, Lúcio, altro mezzo scarto del Bayern Monaco in cui si lamentavano della troppa foga con cui giocava e alcune volte procurava problemi, Thiago Motta che doveva servire per proteggere le spalle all’ultimo grande acquisto, Wesley Sneijder, l’uomo che serviva a Mou per creare in ogni parte del campo, proprio come aveva utilizzato Deco quando era al Porto.
Alla seconda giornata di campionato, Sneijder era appena arrivato e c’era il derby, contro la squadra che ipoteticamente doveva essere la grande rivale in Italia. Un 4-0 tolse ogni dubbio su chi avrebbe rivinto la serie A, anche se bisognò aspettare fino all’ultima giornata giocata a Siena grazie a una Roma coraggiosa.
“All'Inter c'è un clima familiare, e ci sono tutti i presupposti per puntare in alto. La città di Milano è meravigliosa, pittoresca, regna l'eleganza, la amo” – Wesley Sneijder
Anche la Coppa Italia si doveva giocare con il chiaro desiderio di non mollare nulla. Questo era il Mou-pensiero. E anche in questo caso la finale fu contro la Roma, ma ancora una volta un gol di Milito diede anche questo trofeo ai nerazzurri. Restava la Champions League, il vero grande obiettivo stagionale. Si prese subito il Barcellona nel girone, la squadra campione in carica e in quel momento insuperabile. C’era il tiki taka di Guardiola al suo massimo, i pezzi che facevano muovere l’ingranaggio erano tutti giovani e consapevoli della loro forza, era arrivato Ibra e poi c’era Messi, il quale al di sotto dei 50 gol stagionali non scendeva. Le altre due erano Dinamo Kiev e Rubin Kazan e il secondo posto l’Inter lo strappò in Ucraina grazie a una vittoria per 1-2 sulla squadra di Shevchenko che segnò anche un gol.
Ottavi durissimi contro il Chelsea di Drogba, Terry e Ballack e grande prova allo Stamford Bridge, dove Eto’o non solo segnò il gol vittoria, ma si sdoppiò in un lavoro di copertura impensabile fino a pochi mesi prima. Mourinho riusciva a tirare fuori da tutti il 110% e tutti volevano fare anche tanto altro rispetto a quello che il loro status diceva.
“[Riferendosi a José Mourinho] Le persone che lo conoscono sanno che è davvero speciale, non come lo dipingono gli altri. È uno dei più grandi allenatori, lo ringrazio perché mi ha dato la possibilità di discutere con lui delle questioni tecniche, senza filtri. È la cosa più bella che mi ha regalato” – Samuel Eto’o
Ai quarti contro il CSKA Mosca due 1-0 decisero la sfida mai davvero in equilibrio e si arrivò al redde rationem in semifinale contro il Barcellona di Guardiola. Quegli otto giorni furono un romanzo incredibile, pieno di colpi di scena, dal vulcano islandese che non permise al Barça di prendere l’aereo, dovendo arrivare a Milano per l’andata in pullman, all’espulsione di Thiago Motta al 28’ della partita di ritorno, che decretò la chiusura dei nerazzurri all’interno della loro area di rigore per il resto della partita. Eppure l’Inter riuscì a passare, con Mourinho che prese possesso del Camp Nou a fine partita, esultando sul campo come mai aveva fatto prima.
“[Durante la conferenza stampa pre-Barcellona-Inter della semifinale di Coppa dei Campioni] Vogliamo inseguire un sogno, è vero, ma una cosa è inseguire un sogno ed un'altra cosa è inseguire un'ossessione e questa non è un'ossessione, è solamente un sogno” – José Mourinho
Si arriva così al 22 maggio 2010, il giorno della finale di Champions League tra il Bayern Monaco e l’Inter, da disputarsi al Bernabeu di Madrid. Il Bayern era una grande squadra. C’era il trio Ribery, Roben, Klose, Bastian Schweinsteiger e Philipp Lahm erano i saggi e gli equilibratori del gruppo, mentre Thomas Müller iniziava a essere quell’enigma ancora irrisolto per tutte le difese europee. Eppure mai un secondo di quella partita fu davvero in bilico. Per l’Inter quella vittoria sembrava davvero la fine di un percorso che il destino aveva costruito, tra mille sofferenze e ostacoli, come i tifosi interisti sanno bene almeno dall’acquisto di Ronaldo il Fenomeno in avanti. Quella vittoria era per loro e serviva a ripagarli di tutto. Era l’ultima tappa del destino, perché Mou già quella notte si fece portare lontano dal Bernabeu dalla macchina di Florentino Perez e iniziò un’altra storia.