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Igor Protti: “A 11 anni lavorai in cantiere, portavo la gru. Oggi i calciatori sono ricchi ma soli”

Igor Protti a Fanpage.it ha raccontato la sua carriera tra aneddoti conosciuti e storie inedite, con uno sguardo sull’attualità: “Ai miei tempi fare gol era più dura. Mi hanno detto che rivedono qualcosa di me in Lautaro Martinez”.
A cura di Vito Lamorte
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Igor Protti è sempre rimasto se stesso. Non è mai cambiato e non ha mai inseguito le mode del momento, sia in campo che fuori. Un attaccante fortissimo, che ha deliziato le tifoserie delle sue squadre con giocate di primissima qualità: non è riuscito ad incidere con squadre di primissima fascia ma conta relativamente poco perché Protti è un idolo per tantissimi tifosi e in alcune città basta fare il suo nome per aprire un cassetto di ricordi favoloso.

Non ha mai inseguito nessuno Protti, che è partito da Rimini ma ha girato tutta l'Italia facendo gol e conoscendo le realtà più disparate: dalla Virescit Bergamo al Messina, passando per Bari, Napoli Lazio e Livorno. L'obiettivo era uno solo: fare gol. E lui lo ha inseguito non modificando mai se stesso: "A mio parere la grande bellezza del calcio sta nel fatto che puoi giocare in Serie A o puoi giocare nel torneo amatori con i tuoi amici ma puoi provare le stesse emozioni e sensazioni prima di scendere in campo o quando fai un gol. Secondo me quella è la vera essenza di questo gioco ed è uno dei motivi per cui tanta gente è innamorata di questo sport".

Insieme a Dario Hübner è l'unico giocatore ad ottenere il titolo di capocannoniere in Serie A, in Serie B e in Serie C1 ma detiene anche un altro primato, ovvero è l'unico nella storia della Serie A ad essere diventato re dei bomber e poi la sua squadra è retrocessa. A Fanpage.it Igor Protti ha raccontato la sua carriera tra aneddoti conosciuti e storie inedite con uno sguardo sull'attualità.

Che cosa fa oggi Igor Protti nella vita?
"Sono socio di due strutture turistiche alberghiere e poi ho un ruolo sporadico da nonno, perché ho tre nipotini. Anche se quest’ultima è l’occupazione che preferisco".

Era più difficile fare l'attaccante prima in Serie A rispetto ad ora?
"Io ne farei un discorso più ampio. Mi spiego. Io ho fatto un viaggio in tutte le categorie, la C, la B e la A. Gli anni di C sono stati una palestra spaventosa perché fare l'attaccante lì era veramente molto dura: andavi fuori casa e non era una partita di calcio ma era una guerra su tutti gli aspetti, sia fisica che morale perché venivano fatti tentativi di ogni tipo per metterti in difficoltà. Quando sono arrivato in Serie A, per me era un mondo fantastico. Adesso il calcio è cambiato molto e sotto certi aspetti è anche più spettacolare perché ci sono più gol e si tende ad agevolare più l’attaccante che il difensore. Maradona ha vinto la classifica dei cannonieri in Serie A, se non sbaglio, con 15 o con 16 gol mentre oggi se ne fanno 30-35: secondo me questo è il miglior spot per dire che prima fare gol era veramente molto molto più dura. Poi ci sono altri fattori che, a mio parere, sono più importanti".

Protti con la maglia del Livorno e la fascia di capitano al braccio.
Protti con la maglia del Livorno e la fascia di capitano al braccio.

Mi dica.
"Oggi il calcio è diventato un po' più uno sport individuale all'interno del gruppo, mentre prima era uno sport di gruppo. Stop. I calciatori guadagnano molto di più e circolano tanti soldi, però noi abbiamo visto un calcio più bello perché quando venivi all'interno dello spogliatoio ti sentivi parte integrante di un gruppo, di una città, di una storia, di una società, di una tifoseria. Un legame che quando entravi in campo avevi la sensazione di provare addosso. Almeno questo è il mio parere. Oggi molti ragazzi sembrano avere difficoltà a sentirsi coinvolti e nonostante i social ti diano grande visibilità e permettano di essere a contatto con tutti, si ha la sensazione che siano un pochino più soli di come eravamo noi. Io ho un po' questa sensazione, ma magari mi sbaglio".

Crede che, in alcuni casi, si arrivi subito in vetta senza fare molti sacrifici?
"Faccio un esempio parlando di me stesso. Quando avevo 11 anni c'erano i Mondiali in Argentina e venne fuori il primo pallone un po' particolare, perché fino a quel momento il pallone era sempre stato quello bianco e nero a scacchi. Io chiedevo a mio padre di comprarmelo praticamente tutti i giorni, ma lui mi disse che se lo volevo dovevo andare a lavorare con lui. Mi svegliava alle sei di mattina, mi portava sul cantiere e mi veniva a riprendere, perché lui girava un po' i cantieri e mi lasciava lì sotto la custodia di alcune persone di fiducia. Avevo imparato a mandare la gru a 11 anni, portavo il secchio con il cemento e mi facevano raddrizzare i chiodi col martello, perché al tempo i chiodi che si toglievano dalle assi di legno non si buttavano via ma si raddrizzavano".

E il pallone?
"Alla fine della settimana mi disse ‘Prendiamo il pallone’ e io risposi ‘No grazie papà, va bene così’. Ho capito che per un pallone ci volevano cinque giorni di lavoro e bisognava farsi un mazzo tanto per portare a casa i soldi. Questa cosa me la sono sempre portata dentro. È cambiato il mondo, è cambiato tutto, ma forse capire lo sforzo che c'è dietro qualcosa poi ti porta ad apprezzare tutto di più. Una lezione che mi sono portato anche nel calcio".

Il suo percorso tra i professionisti inizia a Rimini, la squadra della sua città.
"Giocare per il Rimini per me fu emozionante. È la squadra della mia città, a Rimini sono nato, lì ho fatto settore giovanile e dopo aver fatto il raccattapalle ho fatto l’esordio con la Spal entrando al posto di una bandiera come Giordano Cinquetti al Romeo Neri. È stato un momento che solo chi è tifoso può immaginare".

Igor Protti con la maglia del Bari.
Igor Protti con la maglia del Bari.

Dopo alcune esperienze, ecco che Igor Protti diventa il ‘re di Bari'.
"Sono stati quattro anni meravigliosi anche se purtroppo culminati con una retrocessione. È stata l'unica volta che nel calcio italiano la squadra del capocannoniere è retrocessa. Però con Bari è stato un rapporto veramente di grande amore, perché ancora oggi quando vado ti assicuro mi accorgo dell'affetto che mi circonda. È qualcosa che va oltre il calcio, oltre il campo. Mi hanno voluto bene sempre, anche negli anni in cui ho fatto qualche gol in meno".

E il trenino, da dove è spuntato fuori…
"Il trenino nasce da Guerrero, che era arrivato dalla Colombia e ci spiegò questo tipo di esultanza che, in realtà, non avevamo ben capito. Tutto si realizzò in occasione della partita di Padova in cui vincemmo 2 a 0 e segnarono a Pedone-Gerson: andarono alla bandierina mettendosi giù e poi noi ci siamo accodati. È stata la prima esultanza di gruppo in quegli anni ed è bello che si veda ancora anche nei campi di provincia o di calcio amatoriale. È diventata iconica perché se si dice ‘trenino’ subito si pensa al Bari. La feci anche nel derby di Roma, quando segnai il gol del pareggio all’ultimo minuto: fu anche un modo per omaggiare i tifosi e alla città alla quale sono ancora molto legato".

Protti con la maglia del Lazio che festeggia il gol nel derby.
Protti con la maglia del Lazio che festeggia il gol nel derby.

Dopo Bari ci fu la parentesi Lazio: cosa non andò con Zeman?
"È stata una prima parte di stagione molto complicata sia per me che per la squadra, quindi era un fatto generale: noi eravamo partiti con l'ambizione di lottare per il vertice e le cose si erano messe malaccio. Io avevo segnato un solo gol in un girono intero, una cosa veramente inaspettata sia per me che per tutta la squadra. Poi ci fu il cambio d'allenatore e con Zoff siamo arrivati quarti, che all’epoca voleva dire entrare in Coppa UEFA. Io segnai sei gol nel giorno di ritorno e uno di questi fu nel derby al 92’, che a Roma vale 20… quindi quell'anno ne ho fatti 26 (ride, ndr)".

Ha indossato anche la maglia numero 10 del Napoli.
"Era il numero di cui ero innamorato e da ragazzino volevo giocare sempre con quello perché ero fan di Rivera. Tra l'altro il mio percorso nel settore giovanile comincia come centrocampista e non come attaccante, quindi il 10 era anche adatto. La indossai per la prima volta l'anno in cui diventai capocannoniere e non la cambiai più. È chiaro che se uno a Napoli pensa che il 10 che l'ha messo Maradona non lo prende mai, però io avevo questo amore per quel numero e l'ho scelto ogni volta che potevo. Quegli anni a Napoli era tutto più difficile e diverso rispetto a quello che abbiamo imparato a conoscere ultimamente. Esperienza con alti e bassi, ma c’è un gol, quello di Juve-Napoli, che inseriscono sempre nei video e questo mi fa piacere".

Igor Protti in azione con il Livorno.
Igor Protti in azione con il Livorno.

Poi il ritorno a Livorno, un amore reciproco. Qual è il suo rapporto con la squadra e la città.
"Sono arrivato nell'85, avevo 18 anni e ho trovato una città molto passionale, molto attaccata alla sua squadra di calcio, malgrado venisse da un periodo non semplice. Mi hanno subito accolto bene perché ero molto giovane, mi chiamavano ‘il bimbo’. Io ho il ricordo di quando entrai stadio Livorno, c'era una gigantografia della squadra che arrivò seconda negli anni ’40, una foto in bianco e nero, e ho respirato la storia di quella squadra, di quella città, e mi ci sono legato e affezionato. Ho conosciuto mia moglie e quando sono andato via nel 1988 ho detto che un giorno sarei tornato per dare una mano a risalire nelle categorie più importanti. Così è stato. Nel ’99 sono tornato e abbiamo vinto nel 2001-2002 il campionato di C dopo più di 30 anni: due anni dopo abbiamo vinto quello di B e siamo tornati in Serie A dopo più di 50 anni. È stata veramente una grandissima e lunghissima storia d'amore come direbbe Gino Paoli".

Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, grande tifoso del Livorno, una volta disse: “Se Protti non gira, tutta la squadra fa cilecca”.
"Questo non può che farmi piacere e lui ci ha onorato della sua presenza allo stadio alla prima partita del campionato 2004-2005, la prima dopo ritorno in Serie A. Io segnai, anche se perdemmo contro il Chievo. L’anno successivo, io avevo già smesso, però il presidente Spinelli mi chiese di andare insieme alla squadra a Roma in visita dal Presidente della Repubblica. Ricordo che Ciampi mi prese la mano e mi disse: ‘Lei è il grande protagonista del ritorno del Livorno in Serie A'. Questa è una cosa che non ho mai raccontato e quella frase me la tengo stretta perché sono tornato in C ed è stata durissima risalire. Era proprio diventata una maledizione e quelle parole del Presidente sinceramente mi hanno riempito di orgoglio. In un'altra occasione mi ha anche detto che ero il suo calciatore preferito. Cosa chiedere di più…”.

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Perché Igor Protti è lo Zar?
"Da quello che so è un nome che mi hanno dato Bari per il legame che la città ha con l'Oriente, legato a San Nicola. Credo sia per questo motivo".

Arrigo Sacchi una volta disse che Protti era un attaccante da Serie C: aveva ragione? 
"Era la stagione 1984-1985 e in quel momento so che disse ai dirigenti del Rimini che secondo lui avrei avuto difficoltà ad andare oltre la Serie C. Quella era la mia categoria. Forse in quel momento aveva ragione, perché avevo 17-18 anni e venivo da un percorso che mi aveva portato a giocare attaccante dopo aver fatto il centrocampista per molto tempo. Dal punto di vista fisico dovevo crescere per fare determinate categorie e giocare a certi livelli, poi a livello mentale ero insufficiente perché la sera prima della partita facevo fatica a dormire per la tensione e le aspettative. Forse in quel momento lui aveva ragione. Il problema è che quel ragazzo lì dentro di sé aveva un fuoco enorme. Dopo si è messo un paio di volte a settimana a fare palestra per la parte superiore, per rinforzare e per tenere duro nei contrasti anche con giocatori più fisici. Ogni allenamento ha dato tutto per arrivare più in alto possibile e per ottenere il massimo delle sue caratteristiche. Alla fine il massimo della sua vita è stato quello di riuscire a diventare capocannoniere in Serie A. Io l’ho saputa diversi anni dopo questa cosa, quando già ero arrivato in Serie B".

C’è qualcuno che somiglia a Protti in Serie A?
"Ma guarda, io ho difficoltà a fare questo tipo di paragoni perché a volte non voglio sembrare presuntuoso e non voglio che mi si mettano in bocca cose che non ho detto. Un amico mi ha detto che rivede qualcosa in Lautaro Martinez, ma poi ognuno ha le sue caratteristiche e le sue qualità. Un combattente, molto forte in area e bravo anche in acrobazia. Forse per questo, ma non so dire di più perché non l’ho pensato io".

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