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Ibrahimovic si racconta: “Mio fratello morto di leucemia. Non sono il babysitter dei giocatori”

Ibrahimovic parla del rapporto con la famiglia e con il Milan: “Mio figlio porta un cognome pesante ma lo giudico come tutti gli altri. Il mio ruolo è mantenere tutti sulle spine”
A cura di Ada Cotugno
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Zlatan Ibrahimovic continua a essere un icona nel mondo, anche dopo il ritiro dalle scene avvenuto un anno fa. La sua persona si mischia al personaggio che negli anni ha creato: sicuro di sé, determinato, infallibile, gli aggettivi che si è portato dietro anche dopo aver appeso gli scarpini al chiodo. La sua avventura con il Milan prosegue in una veste diversa, in cui fa da collante tra la società e la squadra: "Ma non sono un babysitter. I miei giocatori sono adulti e devono assumersi delle responsabilità".

Ma nella sua carriera non diventerà mai allenatore, come ha raccontato a The Athletic nel corso di una lunghissima intervista: "Vedi i miei capelli grigi? I capelli completamente grigi ti vengono dopo una settimana da allenatore. La vita di un allenatore dura fino a 12 ore al giorno. Non hai assolutamente tempo libero. Il mio ruolo è collegare tutto; essere un leader dall'alto e assicurarmi che la struttura e l'organizzazione funzionino. Mantenere tutti sulle spine".

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Il rapporto con Capello e Mourinho

Nel corso della chiacchierata sono venuti fuori due nomi di allenatori che più di altri hanno inciso sulla sua carriera. Il primo è Fabio Capello che lo ha accolto alla Juventus: "Alla Juventus avevo Fabio Capello. Mi stava distruggendo. Ma allo stesso tempo mi stava costruendo. Oggi eri una m***a. Domani sei il migliore. E andava così. Quindi quando pensi di essere il migliore, lui ti distruggeva. Poi diventa confusione e non sai: ‘C***o, sono davvero il migliore o sono una m***a?' Quindi quando eri giù, lui ti sosteneva. Ma mi ha fatto sempre dare il 200 percento. Mi ha plasmato".

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Il secondo inevitabilmente è José Mourinho. Per Ibrahimovic è in qualche modo collegato all'ex tecnico della Juve per la sua durezza nell'approccio con i calciatori: "Jose era una macchina. Tira fuori il meglio di te. È quella persona: manipolatrice. Sa come entrare nella tua testa. Sa come trattarti, indipendentemente dal tuo livello. Mi ha ricordato Capello. Ma una versione più recente. Disciplina. Hardcore. Intenso. Non i tipi soft. Questo è ciò che mi piace. Ricordi da dove vengo? La mia famiglia è dura".

Ibrahimovic e il legame della sua famiglia

L'intervista poi è proseguita parlando dei tatuaggi che decorano il corpo dello svedese. Sulla gabbia toracica campeggia la scritta "Solo Dio può giudicarmi" ed è dal suo rapporto con la religione che Ibra racconta una storia che in pochi sanno e che riguarda la scomparsa del fratello: "Quando mio fratello è morto, aveva la leucemia. Dov'era Dio per aiutarlo? Ringrazia Dio ogni giorno, preghi Dio. Ma dov'era Dio adesso? Nel mio mondo, sei il tuo Dio. Questo è ciò in cui credo. E questa è la mia mentalità".

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Di recente anche i suoi figli hanno intrapreso il cammino da calciatori nel Milan. Maximilian giocherà dalla prossima stagione come esterno nel Milan Futuro: "Non è facile per lui perché, ovviamente, suo padre è quello che è. Quindi porta un cognome pesante. Ovunque vada, verrà sempre paragonato. Ma al Milan, nel mio ruolo, non lo vedo diverso dagli altri. Non lo giudico come figlio. Lo giudico come giocatore, come giudico tutti gli altri. Deve imparare, deve lavorare e deve guadagnarsi. Poi quello che succede, succede. È forte mentalmente. La gente pensa che il calcio sia facile e che arrivino tutti. Ma non è così".

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