Ibrahimovic, Cristiano Ronaldo e i due modi agli opposti di essere leader
C’è modo e modo di essere leader di una squadra di calcio. Non stiamo inventando nulla, mi pare evidente, ma ci sono situazioni e atteggiamenti che mettono ancora più in risalto queste modalità e le rispettive. Fin dall’inizio della stagione si è parlato spesso dei calciatori più importanti delle tre big della Serie A e del loro modo di impattare sui rispettivi compagni: la personalità di Zlatan Ibrahimovic per il Milan e quella di Cristiano Ronaldo per la Juventus sono chiaramente più impattanti rispetto a quella di Romelu Lukaku per l’Inter, che compensa alcune sue mancanze con altre qualità; però nelle ultime settimane si è messa in evidenza ancora di più la differenza tra i due top player del Diavolo e della Vecchia Signora.
Juve e Milan hanno vissuto un percorso più o meno simile nelle ultime settimane con l’eliminazione dalla rispettiva competizione europeo e la giornata successiva hanno vinto la loro gara di campionato: in maniera diversa ma sono arrivati i 3 punti che dopo una botta psicologica pesante aiutano sempre. Il tratto differente all’interno di queste due storie è il modo in cui i due leader hanno comunicato il momento loro e dei compagni sia dopo il momento negativo che la ripartenza dopo la caduta.
Andiamo in ordine cronologico. La Juventus viene eliminata dal Porto agli ottavi di Champions League e CR7 finisce sul banco degli imputati, non solo lui, per una brutta prestazione nel doppio confronto contro i suoi connazionali: il cinque volte Pallone d’Oro non ha preso bene la valanga di critiche nei suoi confronti, resta in silenzio per diversi giorni e poi esprime il suo pensiero attraverso i social network. La domenica successiva Ronaldo firma una tripletta contro il Cagliari in poco più di mezz’ora, condita da esultanza polemica, e alla fine del match rifiuta l’invito dell’addetto stampa bianconero ad andare ai microfoni di Sky “Non parlo”.
Quanto accaduto al Milan è stato più o meno simile a livello sportivo ma con qualche differenza: la squadra rossonera è stata eliminata dagli ottavi di Europa League dal Manchester United in casa e nel post-partita il primo a presentarsi ai microfoni delle tv è stato Zlatan Ibrahimovic, che era stato in campo poco meno di 30’ ma che ha risposto a tutte le domande poste senza batter ciglio e assumendosi responsabilità su quanto fatto oltre a tentare di rialzare subito la testa in vista del finale del campionato. Pochi giorni dopo il Diavolo ha vinto in casa della Fiorentina per 3-2 una partita difficile e lo svedese ha firmato il gol che ha sbloccato il match dopo pochi minuti: dopo il triplice fischio il primo a presentarsi di nuovo davanti alle telecamere è di nuovo lui, l’uomo con la numero 11 rossonera. Zlatan “Benjamin Button” Ibrahimovic ha sottolineato come non apprezzi i continui riferimenti alla sua età e ai record legata ad essa, indicando la strada per il rush finale.
Non si tratta di un giudizio sull'importanza a livello tecnico di due calciatori enormi come Ibra e CR7 né su quello che significa averli nello spogliatoio ma sull’impatto che i due sembrano avere adesso sui compagni. Ognuno ha un modo di relazionarsi davanti alle situazioni difficili e a quelle felici ma in un mondo come quello attuale, in cui la comunicazione conta tantissimo, ci sono evidenze che non passano inosservate. Anzi, sono oggetto di studio e di dettagliate analisi.
Quanto accaduto è tutto assolutamente lecito, non condivisibile a seconda dei punti di vista, ma lecito: Cristiano Ronaldo non aveva l’obbligo di presentarsi a parlare dopo il Porto o dopo Cagliari né lo aveva Ibra contro lo United o a Firenze, ma c’è un messaggio o qualcosa da cogliere dietro questi diversi comportamenti? Si, che c’è modo e modo di essere leader. Gli atteggiamenti e i messaggi lanciati con essi molto spesso contano più di tante parole.