Ibrahimovic con Moggi, Galliani e Raiola, una reunion speciale: “Quell’uomo irradiava potere”
Adriano Galliani, Mino Raiola e Luciano Moggi. L'uno accanto all'altro, sorridenti, con un bicchiere di bollicine in mano e tra le rughe un pezzo di storia del calcio italiano. Una triade niente male riunita in un appuntamento conviviale, per rendere omaggio a un calciatore, un campione che a 40 anni – nonostante gli acciacchi – non ha alcuna intenzione di appendere le scarpette al chiodo. Oltre all'agente, a festeggiare il compleanno di Ibrahimovic c'erano anche i dirigenti che hanno rappresentato un punto fermo nei diversi momenti della sua carriera.
L'ex dirigente bianconero è stato l'uomo che lo ha portato in Italia. A Milano, invece, ha vissuto (e vive) da dio ma quando nel 2012 decisero di venderlo per esigenze di bilancio finì malissimo. A mediare, nel bene e nel male, c'è sempre stato il suo agente, che ha tessuto la trama dei contatti tra Juventus, Milan, Paris Saint-Germain, un'esperienza in America e poi di nuovo in Italia, sempre in rossonero. Zlatan ha avuto perfino la possibilità di ritrovarsi in maglia azzurra, quella del Napoli: lo avrebbe voluto con sé Carlo Ancelotti ma dopo il suo esonero cadde tutto nel vuoto. Peccato, avrebbe incendiato (anche) il San Paolo (oggi Stadio Maradona) dopo averlo graffiato con le sue reti.
Luciano Moggi uomo di potere
Di quegli anni ruggenti Ibra ricorda ogni cosa, dall'inizio (addio all'Ajax per sbarcare a Torino) fino alla cessione accettata obtorto collo, a malincuore e a malapena, perché era diventato un lusso che nemmeno il ‘diavolo' poteva più permettersi. "Si capiva subito che era un individuo di potere", è la prima impressione che ebbe di Moggi quando lo incrociò a Montecarlo, durante il Gran Premio di Formula 1.
Da un lato il suo procuratore che – come raccontato nell'autobiografia Io Ibra – "indossava degli shorts hawaiani, una maglietta Nike e scarpe da jogging senza calze, e ormai era completamente zuppo". Dall'altro un dirigente vestito in maniera elegante, alle prese con un grosso sigaro, che un giorno al centro d'allenamento gli spiegò in due parole cosa significasse essere alla Juve. Lui si lamentava delle docce che non funzionavano, la replica fu tranciante: "Ricordati che non sei qua per stare bene, sei qua per vincere".
Uomo che irradiava potere. A Ibra restò quell'impressione anche quando, in piena bufera di Calciopoli, Moggi provò a spiegare cosa stava accadendo. "Cominciò a piangere, proprio lì, davanti a tutti noi. Non l’avevo mai visto debole prima. Quell’uomo aveva sempre avuto padronanza di sé, aveva irradiato potere e forza. Adesso all’improvviso, ero io a provare compassione per lui".
La determinazione di Galliani
E Galliani? "Mi chiama ancora capo", ha spiegato di recente l'ex dirigente del Milan oggi al Monza con Berlusconi. Un rapporto di amore e odio nato quando l'ex rossonero si presentò a casa sua per convincerlo ad accettare il trasferimento in rossonero. "Venne a casa mia in Svezia – ha rivelato a SportWeek – e mi disse: non me ne vado fino a quando non vieni con me. Mia moglie restò sconvolta e mi disse: questo è matto. Le risposi che avremmo dovuto accettare. Quando vuoi una cosa devi prendertela. Coi fatti non solo a parole".