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Iaquinta, denuncia social: “Mio padre in carcere in queste condizioni ai tempi del Coronavirus”

Vincenzo Iaquinta ha postato sui social l’immagine di una planimetria realizzata a mano della cella in cui è detenuto suo padre Giuseppe: “Partendo dal presupposto che mio padre è innocente, questo è un disegno di una cella del carcere di Voghera! Come si fa a mantenere la distanza di sicurezza?”
A cura di Marco Beltrami
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Vincenzo Iaquinta si è reso protagonista di uno sfogo sui suoi canali social. L'ex attaccante del mondo ha voluto denunciare pubblicamente le condizioni del padre Giuseppe, detenuto in carcere a Voghera. Il classe 1979 calabrese ha postato una planimetria fatta a mano della cella, rivolgendo un appello al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, per segnalare l'impossibilità di rispettare le distanze di sicurezza imposte dall'emergenza Coronavirus.

Mio padre in carcere in queste condizioni ai tempi del Coronavirus, la denuncia di Iaquinta

"Partendo dal presupposto che mio padre è innocente, questo è un disegno di una cella del carcere di Voghera! Come si fa a mantenere la distanza di sicurezza?”. Queste le parole di Vincenzo Iaquinta per accompagnare l'immagine di una planimetria realizzata a mano della cella in cui è detenuto suo padre Giuseppe. Spazi minimi e impossibilità di rispettare le norme relative alle misure di sicurezza anti-contagio imposte per limitare gli effetti del Coronavirus. L'ex centravanti della Nazionale campione del mondo nel 2006 ha taggato il premier Giuseppe Conte e il ministro della Giustizia Bonafede

Perché il padre di Iaquinta si trova in carcere

Il papà di Vincenzo Iaquinta, Giuseppe, si trova in carcere alla luce della condanna a 19 anni nell'ambito del processo Aemilia, ovvero il più grande sulla mafia calabrese al Nord. L'imprenditore edile sarebbe stato considerato una "strategica all’interno del sodalizio criminoso", con l'ex calciatore che invece ne ha sempre ribadito la totale innocenza. Anche Vincenzo inizialmente fu condannato in primo grado a due anni per un’irregolare custodia di armi, ma in seguito venne ritenuto estraneo all'associazione mafiosa.

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