I tifosi del Napoli mostrano uno Scudetto al contrario in curva: è un messaggio in codice
Lo scudetto rovesciato. Nella domenica di festa al "Maradona" non poteva passare inosservato lo striscione esposto dai tifosi del Napoli della Curva B in occasione della partita contro la Fiorentina: l'icona tricolore capovolta era accompagnata da due messaggi che sono l'alfa e l'omega dei due concetti espressi. "Bottino di guerra" e "Campioni in Italia", in poche parole è raccolto il lato oscuro dell'entusiasmo e dell'euforia che hanno caratterizzato le celebrazioni per il terzo titolo degli azzurri.
Nel contesto del codice ultras è protesta contro qualcosa e contro qualcuno oppure vale trofeo mostrato a mo' di scalpo dopo aver conteso, trafugato, strappato un vessillo ai rivali. È retrogusto amaro, polemica e provocazione. È vena agrodolce che affonda le radici sia nel linguaggio simbolico dei sostenitori (che è un idioma non scritto quando a parlare è il cuore ultras) sia nella volontà di tenere accesi i riflettori su altri tipi di ragionamenti che attraversano il mondo del calcio in maniera trasversale. È interpretazione legata a differenti motivazioni per chi ha cose da dire senza padroni, senza peli sulla lingua, senza timori.
Anche per questa ragione è voluta la scritta Campioni "in Italia" rispetto a "d'Italia". La differenza è tutt'altro che marginale, pone l'accento su quella vena di intolleranza strisciante che ha accompagnato di recente (ma è storia vecchia) le vittorie del Napoli ed è esplosa in questi giorni in maniera più virulenta e palese rispetto a consuetudini che si riverberano da sempre (anche) all'interno degli stadi italiani.
E se è pur vero che si tratta di una minoranza di soliti noti, non si può (più) restare insensibili rispetto alla crudezza di certe immagini: a Londra, a New York e in altre città del mondo si può celebrare con libertà e serenità il successo della propria squadra, in Italia capita che ristoratori siano minacciati, persone intimidite fin dentro casa per un nastro colorato legato alle ringhiere, altre ancora inseguite e braccate per strada per avere al collo una sciarpa e una bandiera tra le mani.
Non è sfotto', ma odio e violenza che va ben oltre il recinto di Napoli e dei napoletani, considerato quanto avvenuto nel corso della stagione attuale su molti altri campi della Serie A. Non è goliardia ma avversione, insofferenza immotivata, ingiustificata, che ha fondamento nei silenzi troppo duri da raccontare delle istituzioni sportive, di una certa politica che ci soffia sopra per tornaconto personale, di chi si ostina a parlare di "maleducazione e insulti", che si manifesta contro i calciatori neri, contro lo juventino Vlahovic che è serbo, gli viene urlato "zingaro" e – come già accaduto a Lukaku o Koulibaly – prende anche l'ammonizione se si ribella.
Non è calcio, eppure nel calcio c'è. Ma finora il mondo del calcio non ci ha mai fatto veramente i conti oppure sì ma proponendo un sistema blando di sanzioni. Come mettere la polvere sotto il tappeto per "grazia ricevuta".